130 Paesi riconoscono l'opposizione come legittima rappresentante della Siria
Il gruppo dei Paesi cosiddetti "Amici della Siria", riuniti a Marrakesh in Marocco, ha riconosciuto la Coalizione nazionale guidata dallo Sceicco al-Khatib come l’unica autorità legittima del Paese. Un altro duro colpo per Assad, dopo che già Inghilterra, Francia, e poi successivamente l’intera Unione Europea e anche gli Stati Uniti avevano riconosciuto l’opposizione. Washington ha anzi invitato il suo leader a recarsi negli Stati Uniti. Nell'incontro della scorsa settimana a Dublino tra le diplomazie degli Stati Uniti e la Russia, sembra che anche Mosca si stia convincendo dell'impossibilità di difendere ad oltranza un regime come quello di Al Assad che si sta sgretolando. Anche per questo la voce della Casa Bianca si è levata con più forza per ammonire il regime siriano a non ricorrere alle armi chimiche. D'altra parte, tale eventuale ricorso starebbe a dimostrare che Damasco avverte che anche gli equilibri militari sul campo stanno per cambiare. Sul terreno i combattimenti tra esercito e ribelli continuano, anzi si intensificano soprattutto attorno alla capitale. Il bilancio complessivo delle vittime è tragico, gran parte sono civili e tra questi moltissimi bambini. Confrontando i dati da fonti attendibili come l'ONDUS, l' Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, e quello di " SiriaLibano" le vittime si concentrerebbero soprattutto a Damasco e dintorni: oltre 10.000 di cui 2.500 nella capitale e 7.500 nei sobborghi. A Homs le vittime sarebbero 8.000. A Idlib 5.500 . Seguono Aleppo con 5.000, Hama con 3.500 e Dayr az Zor con 3.000. Gli arrestati nelle carceri del regime sarebbero oltre 30.000. Gli scontri più duri sono attorno all'areoporto internazionale di Damasco, più volte ripreso e perduto dalle 2 parti e attorno ai palazzi del potere. Un attentato durissimo ha colpito il Ministero dell’Interno a Damasco, con tre esplosioni ad altissimo potenziale, una di queste causata da un’autobomba. Il bilancio è di 11 morti e 50 feriti secondo fonti della sicurezza. Il ministro dell’Interno al-Chaar e i suoi funzionari non sono stati toccati dall’esplosione. Nei giorni scorsi altre due autobombe erano esplose nei sobborghi mediorientali della capitale. Nel frattempo il procuratore generale a Damasco ha emesso un mandato di cattura per Saad Hariri, leader sunnita della coalizione parlamentare libanese ostile al regime di Assad. L’accusa è quella di aver fornito armi ai ribelli. Giancarlo La Vella ne ha parlato con il vicepresidente della Corte, il giudice Cuno Tarfùsser, a Roma per una conferenza sulle prospettive future dell’organismo di giustizia internazionale. Questa di seguito la sua intervista pubblicata su " L'Osservatore Romano": R. – C’è chi vorrebbe una giustizia forte e chi meno invadente. Io posso dire, da parte mia, che sono orgoglioso di essere in questa struttura, che ha una giurisdizione e un occhio attento sul mondo, e cerco di dare il mio contributo per farla crescere. Sta poi ad altri giudicare. Evidentemente, la politica ha una voce molto condizionante anche su questa struttura: si capisce che dietro ciò che facciamo c’è tutto un mondo molto articolato. Però, è una sfida straordinaria e io sono molto orgoglioso di farne parte. D. – Come vede l’impossibilità di intervenire in una realtà così drammatica come quella della Siria? R. – Quella siriana è una questione drammatica che vivo, come tutti, sotto il profilo umano e come cittadino. Come giudice della Corte, devo però attenermi a delle regole e noi non abbiamo giurisdizione su situazioni e su Stati che non abbiano ratificato lo Statuto della Corte. E questo è il caso della Siria. L’unico modo per poter compiere delle indagini in Siria sarebbe attraverso la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ci riferisse il caso e quindi ci assegnasse la questione con una risoluzione. Questa risoluzione viene, però, dall'inizio della crisi bloccata dalla Russia e dalla Cina. Quindi, come giudice non posso fare altro che prendere atto, con rammarico, di questa situazione politica che non permette a noi di operare. Come cittadino, sono ugualmente costernato di fronte a quello che succede. D. – Come fare a rafforzare l’azione cogente della Corte penale: ad esempio, il mandato di cattura contro il presidente sudanese, al-Bashir, è rimasto lettera morta… R. – Credo che lo sviluppo della Corte penale internazionale sia un qualcosa che avviene nel tempo, come tutte le cose a livello mondiale. Ci vuole il consenso, ci vuole la rinuncia a un po’ di sovranità: ci vogliono tante cose, che evidentemente non si possono ottenere solo accendendo e spegnendo un interruttore. Già il fatto che la Corte penale esista, è una cosa grandissima: dieci anni fa nessuno ci avrebbe scommesso sull’esistenza oggi di questa Corte e sul suo funzionamento, seppur ancora in maniera imperfetta. Per quanto riguarda la questione al-Bashir: fin quanto il capo di Stato è tale, sarà difficile che qualcuno lo arresti. Io confido, però, che sia soltanto una questione di tempo. Anche di Charles Taylor si diceva che non si sarebbe mai riuscito a catturarlo e adesso, invece, è condannato. Ma io credo che tra qualche anno probabilmente parleremo di questa cosa in termini completamente diversi. Anche di Milosevic nessuno pensava che un giorno sarebbe arrivato davanti al Tribunale dell’ex-Jugoslavi. Così come Karadzic, Mladic e altri. La giustizia è ontologicamente lenta, ma è anche ontologicamente inesorabile. |