In febbraio ripresi gli scontri: a che punto è la guerra in Ucraina?
Nel mese di febbraio si è assistito nel Donbass a un rapido deterioramento del conflitto tra le truppe governative e le milizia separatiste.
Il presidente ucraino Petro Porošenko, in visita dalla cancelliera di Germania Angela Merkel, è dovuto tornare rapidamente a Kiev per coordinare le misure necessarie a fronteggiare la crisi ed evitare una catastrofe umanitaria.
La situazione più pesante si registra nell’area di Avdiivka, cittadina a nord di Donetsk, da sempre tra gli epicentri del conflitto lungo la linea del cessate il fuoco.
Violando gli accordi di Minsk, oltre alle armi leggere, entrambe le parti stanno impiegando artiglieria pesante (anche di calibro 152 mm), mortai e carri armati. Si registrano decine di morti e svariati feriti da entrambe le parti. La città è rimasta senza elettricità, acqua e, soprattutto, riscaldamento nel periodo più rigido dell’anno: di notte la temperatura tocca i -20 gradi centigradi.
Il premier ucraino Volodymyr Groysman ha sostenuto che non vi sia altra scelta che quella di riprendere il controllo della produzione di carbone nelle aree controllate dei separatisti: “Sono contrario al contrabbando e agli abusi sulla linea di demarcazione. Faremo tutto ciò che possiamo affinché vi sia abbastanza carbone per soddisfare le esigenze della popolazione.”
Tali dichiarazioni mettono sul chi va là le autorità separatiste, che proprio partendo dalle risorse minerarie cercheranno di ridare slancio all’economia e alla ricostruzione delle neonate Repubbliche. Ragion per cui vengono accresciute le misure di sicurezza e la reazione militare lungo l’intera linea del fronte, generando così l'escalation del conflitto.
Nel frattempo, la guerra crea uno stop nella produzione mineraria e l’interruzione delle forniture di carbone causa la sospensione della produzione siderurgica delle fonderie di Mariupol, danneggiando gli affari in campo metallurgico del ricchissimo oligarca filorusso Rinat Akhmetov.
L’influente rivale politico di Porošenko – proprietario di miniere nei territori separatisti e di fabbriche in quelli governativi – ha sempre tenuto un comportamento ambiguo a tutela dei propri interessi commerciali, ma ben presto potrebbe trovarsi a dover prendere una posizione più marcata. E non è detto che sia a vantaggio delle politiche di Kiev.
L’acuirsi della crisi è un importante test per la nuova presidenza Trump. Il neo-isolazionismo propugnato dal magnate americano potrebbe indurre Washington a disimpegnarsi diplomaticamente dalla regione, riducendo drasticamente il supporto militare concesso a Kiev. Congresso ed establishment finanziario permettendo.