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Trump, la disunità del mondo, l'unità dell'Europa

di Marco Pezzoni. L'elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti è stata commentata sotto vari aspetti, tutti utili a capire i processi in corso in quella società e nelle relazioni internazionali. C'è un aspetto in particolare che andrebbe analizzato meglio e che ci dovrebbe preoccupare : Trump è parte rilevante di quei sommovimenti geopolitici che stanno disunendo il mondo attuale, ne stanno disarticolando gli equilibri già precari e, anzi, ne accentuano il potenziale disgregativo. Dagli anni '90 è andato completamente in crisi il modello bipolare, basato sull'equilibrio militare nucleare e sulla rivalità del secondo dopoguerra tra Usa e Urss. Ma il nuovo modello multipolare non solo stenta a configurarsi come un ordine dinamico in via di stabilizzazione, piuttosto si mostra anarchico, inaffidabile, giocato tutto sull'esaltazione delle logiche di potenza. Trump dunque è il frutto e il risultato di un mondo che si disunisce, ma adesso la sua politica potrebbe addirittura accentuare le spaccature e gli elementi conflittuali presenti nel quadro internazionale. Così la Cina diventa il vero nemico e concorrente degli Stati Uniti. La Russia di Putin la potenza regionale con cui spartirsi zone d'influenza e interessi energetici in Medioriente e in centro Asia, sacrificando kurdi siriani, kurdi turchi e palestinesi. L'Islam considerata non una religione, ma un'ideologia violenta con cui aprire uno scontro di civiltà. L'Europa un'espressione geografica da lasciar declinare, sostituendola con un forte partenariato con la Gran Bretagna. La risposta da parte di noi italiani ed europei? Non può che essere il rilancio dell'unità europea, meglio, della Federazione europea.

L'unità europea, da rilanciare con un progetto fortissimo di integrazione politica e di evoluzione e traformazione della stessa struttura istituzionale dell'Unione Europea, attraverso una riforma radicale dei Trattati, passando dal processo decisionale di tipo intergovernativo a uno federale, facendo della Commissione un vero e proprio Governo europeo, è l'unica risposta strategica in grado di misurarsi con le sfide globali aperte e con le crescenti instabilità del quadro internazionale.

Di fronte alla crescente gerarchizzazione delle relazioni internazionali dove solo i Paesi più forti militarmente, tecnologicamente, economicamente, finanziariamente, demograficamente, contano e possono contare, gli Stati della vecchia Europa o si uniscono ancora di più o diventano al massimo potenze di secondo livello ( la Germania) o satelliti ( la Gran Bretagna degli Stati Uniti) o marginali e irrilevanti.

Nel caso dell'Italia la disgregazione dell'Unione Europea sarebbe drammatica non solo sul piano economico, ma soprattutto sul piano geopolitico: saremmo via via trascinati dentro l'orbita dei conflitti del Nordafrica e dentro la "faglia" di instabilità del Mediterraneo e del Medioriente senza poter contare sull'insieme dell'Europa che non sarà una potenza militare di prima grandezza, ma certamente è e potrà essere sempre di più una " Potenza civile" e di pace nelle relazioni internazionali, soprattutto se riprende il cammino dell'unità.

Una Potenza civile che nel suo insieme ha mezzi, risorse economiche e culturali in grado di contribuire alla soluzione politica dei conflitti, alla lotta ai cambiamenti climatici, alla gestione dei flussi migratori, alla promozione dei diritti umani, al dialogo interculturale e interreligioso, a un Islam europeo amico della democrazia, a un multipolarismo democratico e a una governance mondiale basata sul primato del Diritto internazionale e sulla democratizzazione dell'ONU.

Proprio Trump ci mette di fronte a quella visione "realistica" e cinica del mondo e della vita che fa dipendere il proprio successo e la propria vittoria dalla potenza brutale di cui si dispone e dal suo uso discrezionale. Basti guardare come tratta il Messico, come si esalta nell'emettere il Bando che vieta l'ingresso ai musulmani provenienti da alcuni Stati, come abbia fatto arrestare migliaia di immigrati irregolari, come irrida all'ONU e al diritto umanitario. Ma questa esibizione di forza se la possono permettere i grandi Stati e le grandi Potenze emergenti sul piano economico e  militare....in verità, alla lunga nemmeno loro.  Non vale certo per gli Stati medi e piccoli che, al contrario, hanno bisogno per autodeterminarsi proprio di un quadro internazionale di regole condivise e soprattutto della forza del Diritto.

I populismi non sbagliano tanto sul protezionismo e, ancor meno, sulla critica alla globalizzazione. Sbagliano sul ritorno al modello della società chiusa. Sbagliano e illudono sul nazionalismo come risposta al deficit di sovranità popolare, confondendo sovranità nazionale e sovranità popolare.

Il nazionalismo oggi, ancor più di ieri, non garantisce la sovranità popolare perchè se i poteri economici e finanziari si sono globalizzati e contano più dei singoli Stati, il recupero di sovranità popolare potrà avvenire solo riarticolandola sulla dimensione sovranazionale e dunque dotando i popoli europei di poteri elettorali lunghi che legittimino direttamente e controllino un Parlamento e un Governo federale europeo. Alle logiche di potenza che tornano a sedurre platee crescenti di elettorato, bisogna contrapporre un pensiero forte, un progetto forte.

Il riformismo dall'alto praticato in Italia e Francia in questi anni non ha capito che l'europeismo debole dei piccoli passi affidato al livello intergovernativo e gestito dalle burocrazie e tecnocrazie europee non porta da nessuna parte. E' su un bonario morto. In questo mese ricorrono 31 anni dall'approvazione del progetto Spinelli da parte del Parlamento europeo. Quanti pescicani l'hanno scarnificato!

Adesso all'attenzione del Parlamento europeo ci sono due rapporti già approvati dalla Commissione Affari costituzionali: il Rapporto Brok-Bresso e il Rapporto Verhofstadt, quest'ultimo un pò più coraggioso e interessante perchè delinea finalmente una prospettiva politica e istituzionale per l'intera Eurozona proponendo un nucleo duro di Paesi più integrato e un secondo cerchio di Paesi oltre l'Eurozona che desiderano un minor grado di integrazione. Siamo ancora lontani dagli Stati Uniti d'Europa...ma la direzione è quella.

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Editoriale

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