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La Pasqua della Repubblica : ascoltare il cambiamento !

di Marco Pezzoni. La Pasqua 2013 ci coglie con la più grave crisi politica dal dopoguerra ad oggi. La democrazia italiana è ad un passaggio cruciale. La Repubblica italiana è ad un passaggio cruciale, cioè pasquale: saprà rinnovarsi ? Nessuno ha davvero vinto le elezioni, ma il PD tiene il filo prezioso delle possibilità di cambiamento. Grillo è stato il grimaldello che ha fatto saltare i vecchi equilibri, ma non è il proprietario esclusivo di quel 25% di elettorato che si è stancato della vecchia politica e chiede una svolta. L'unico attore che può già oggi fare da regia, da ponte, da varco verso la riforma del sistema politico-istituzionale italiano è il Pd, è il centrosinistra. A due condizionì: che sappia resistere alle sirene dei tanti interessi che, preoccupati, lo spingono ad accordarsi con Berlusconi e con il PDL. Che sappia " ascoltare il cambiamento" e rivolgersi a quelle energie che si sono liberate in un voto che non è solo di protesta e si batta per includerle, anche oltre Grillo.
La Pasqua della Repubblica : ascoltare il cambiamento !

Bersani "responsabilità è solo nel cambiamento"

LA PASQUA DI GIORGIO NAPOLITANO E IL RINVIO DELLE SCELTE DECISIVE

 

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non anticipa la scadenza del suo mandato e rimane al suo posto, ma anche lui prende tempo. Non se l’è sentita di procedere alla costituzione di un nuovo Governo e, quindi, di nominare a capo di questo eventuale Governo istituzionale un Presidente del Consiglio da inviare per la fiducia alle nuove Camere.

Così Monti rimane ancora a presiedere un Governo di sopravvissuti, in grado di sbrigare l’ordinaria amministrazione o poco più, anche se Napolitano, con il suo prestigio, ha cercato di tranquillizzare l’Europa e i mercati attribuendo ad un Governo morente una capacità di iniziativa che difficilmente riuscirà a mettere in campo.

 Il conformismo, sempre più insopportabile, della grande stampa elogia il Capo dello Stato e il suo comportamento, dimenticando che fino a poche ore prima la grande maggioranza dei giornalisti aveva chiesto a gran voce un nuovo Governo e aveva impietosamente criticato Pierluigi Bersani per la lunghezza delle sue consultazioni.

Adesso si scopre che effettivamente le condizioni minime per formare un nuovo Governo non c’erano e ancora non ci sono, al punto che Giorgio Napolitano ricorre all’escamotage dei due gruppi di saggi per individuare possibili convergenze sul terreno istituzionale e sul terreno economico-sociale.

La definizione delle due piattaforme programmatiche dovrebbe aiutare l’attuale Parlamento e, soprattutto, il futuro Presidente della Repubblica, successore di Napolitano, a individuare tipologia del futuro Governo, le forze disponibili a sostenerlo alla Camera e al Senato, le basi programmatiche condivise.

Sul terreno delle riforme istituzionali e della nuova Legge elettorale, i nomi dei saggi incaricati, fatto salvo Valerio Onida, non promettono nulla di buono: a rappresentare PD e PDL sono due nomi in perfetta continuità con i tentativi già falliti in questi ultimi anni.

Sul terreno economico-sociale i nomi individuati servirebbero a dare assistenza tecnica e copertura politica all’attuale compito della Commissione speciale, presieduta dell’on. Giorgetti, di sbloccare per il 2013, attraverso variazioni del DEF, 20 miliardi che la Pubblica Amministrazione deve alle imprese, di risolvere il nodo pensioni agli esodati e di trattare con le Istituzioni dell’Unione Europea.

Se questo coniglio, tirato fuori dal cilindro, funzionerà o si rivelerà il proverbiale topolino, lo capiremo presto. Magari è il pragmatismo che ci serve per stare a galla in questo momento di grande incertezza.

Quello che invece è certo è che Napolitano ha scelto consapevolmente di affidare al suo successore le scelte definitive sia del Governo sia del nome del prossimo Presidente del Consiglio.

Quel che è certo è che Napolitano, usando integralmente il tempo del semestre bianco, impedisce di fatto il rischio o la possibilità, dipende dai punti di vista, di tenere le elezioni politiche anticipate entro il giugno del 2013.

 Quel che è certo, infine, è che la strada lunga che ha individuato serve al nuovo Parlamento per strutturarsi e ai parlamentari per abituarsi gradualmente alla prospettiva realistica di intese, grandi o piccole che siano.

 Non è un caso che il plauso più convinto sia venuto, almeno inizialmente,  da PDL, Lega, Centro di Monti e che il Movimento 5 Stelle sia soddisfatto di essere lasciato fuori, di fatto, dal lavoro dei saggi.

Dal canto suo Bersani non può denunciare apertamente lo scacco subito proprio da Napolitano che non ha mai voluto, in nessuna fase della crisi, assegnargli un "mandato pieno" che gli avrebbe permesso di presentarsi direttamente alle due Camere, chiedendo la fiducia ad un suo Governo e che, in caso di bocciatura al Senato, gli avrebbe permesso comunque di guidare il Paese fino alle nuove elezioni politiche anticipate.

Un azzardo troppo grande per un Presidente prudente come Napolitano che, alla fine del suo settennato, non intende né gestire e né legittimare una spaccatura frontale tra PD e PDL destinata poi a esplodere nelle mani del suo successore al Quirinale.

Adesso Bersani non può che accompagnare il percorso individuato dal Presidente della Repubblica, conoscendo benissimo non tanto i tranelli nascosti, quanto la logica implicita che è quella di un accordo di sopravvivenza tra i partiti tradizionali. Così lasciando libero il M5S di scorazzare nel disagio e nel malessere degli italiani.

Saprà tutto il PD resistere sulla nuova frontiera del cambiamento o ripiegherà nella illusione di gestire la crisi coabitando con gli uomini di Berlusconi nelle stanze del potere ?

Presto il Pd avrà una straordinaria opportunità per dimostrare in quale direzione vuole andare : l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Con una forza numerica quasi vicina alla maggioranza assoluta, insieme a Sel ; con la consapevolezza dei tempi difficilissimi che ci aspettano e non avendo attualmente la carica di Presidente del Consiglio, nessuno ci può obbligare a eleggere a Capo dello Stato qualcuno, anche beneducato, che sia stato un cliente o un dipendente di Silvio Berlusconi.

 

 DALLE ELEZIONI DEL 2013 UNA PREPOTENTE DOMANDA DI CAMBIAMENTO

 

Tsunami. Tempesta perfetta che manda all’aria i calcoli fatti in precedenza e sembra bloccare ogni via d’uscita. Fine di quella Seconda Repubblica, mai nata davvero. Con i risultati delle elezioni politiche 2013, la crisi sociale ed economica invece di essere governata dalla politica, genera in Italia la più grave crisi politica dal dopoguerra.

Invece di un bipolarismo più temperato, si afferma sì un terzo polo : ma non è quello di Monti e Casini, è quello di Grillo e del Movimento 5 Stelle che raggiunge un eclatante 25%, attraverso una aggressività mai edulcorata. Un terzo polo fuori dagli schemi, contro tutti i partiti, giacobino e populista, inventore di una nuova narrazione per quell’Italia marginalizzata, precarizzata, scandalizzata, alimentata da anni da un sistema informativo e, soprattutto, da una tv senza cultura politica.

Certo, i partiti ce l’hanno messa tutta a banalizzare, quando non a nascondere, il loro pensiero politico. Ma questo è avvenuto per il crescente conformismo che hanno dimostrato nell’adattarsi al " teatrino della politica" , non rendendosi conto i politici che così si omologavano e si demitizzavano: nei litigiosi, confusi, inconcludenti Talk show non c’è spazio alcuno per professionalità e competenza, tanto meno per la comprensione di problemi complessi.

Così un " falso maestro" come Grillo ha surclassato tanti "mediocri maestri" della politica italiana che hanno rincorso giornali e tv , diventando l’interfaccia di tanti giornalisti-specchio, illudendosi di parlare a vaste fasce di opinione pubblica.

Anche la mitologia del web e della democrazia digitale, che avrebbe ingrossato a dismisura il Movimento 5 Stelle, andrebbe meglio verificata : non c’è dubbio che l’ossatura del Movimento e dei suoi militanti e simpatizzanti si sia formata attraverso la Rete e, soprattutto, attraverso la Regia teleguidata e selettiva di Casaleggio. Ma il grosso dell’elettorato è stato probabilmente catturato dagli eventi di piazza, dalla spettacolarizzazione della politica messa in scena da Grillo e in grado di sprigionare e orientare un’energia popolare repressa.

La "diversità" della vecchia destra sociale e, soprattutto, la "diversità morale" dei comunisti di Enrico Berlinguer, più e più volte smacchiata nel lungo processo di legittimazione che porta dal PCI al PD, è ora raccolta da un Movimento che, certo, non ha alcuna continuità storica con quelle radici ma ne reinterpreta l’esigenza, ancora più forte, in tempo di crisi.

Avrebbe potuto il Partito Democratico, alla sua nascita, raccogliere quelle esigenze già ampiamente presenti ? Sì e no. Sì, perché il progetto di partito nuovo includeva l’ambizione di trasformare la diversità in discontinuità. Sì, perché la grande novità dell’identità del nome non era solo quella di perseguire la democrazia dell’alternanza ma anche quella della " democrazia interna presa sul serio". No, perché come tutti sanno, prevalse la fusione a freddo tra le varie componenti. E prevalse l’idea del Cartel Party, del partito cartello elettorale, non più attore sociale.

Oggi ci troviamo di fronte a tre poli incompatibili tra di loro, quasi equivalenti come forza, in grado di paralizzarsi a vicenda.

La rimonta " relativa" di Berlusconi e l’insuccesso di Monti dimostrano non solo chi è il vero dominus del centrodestra italiano, ma che questa parte di elettorato ha una sua tenuta e vischiosità , come ha dimostrato in Lombardia, e una alta impermeabilità alle influenze e alle preferenze dei partiti popolari europei .

La mancata vittoria di Bersani ha molteplici cause : errori nella campagna elettorale, malgrado lo sforzo delle " primarie"; eccesso di lealtà verso il Governo Monti e la sua politica di rigore e sacrifici ; una difesa debole dell’euro, messo sotto accusa da troppe parti; lontananza dal disagio giovanile e dalle nuove povertà; ma soprattutto credibilità della "forma" partito in caduta libera, come ha dimostrato lo scarso consenso elettorale ottenuto dal partito di Vendola, Sinistra Ecologia e Libertà, malgrado avesse nel suo Programma molte idee-forza simili se non migliori di quelle di Grillo.

Grillo ha conquistato un quarto dell’elettorato italiano perché si è collocato contro il sistema dei partiti , contro i privilegi della " casta"; perché la crisi economica ha diffuso sfiducia nella capacità della politica di affrontarla e di risolverla; perché ha interpretato il vento dell’antipolitica indirizzandolo verso un voto politico "libero" o "leggero" per l’elettore: insieme liberatorio e deresponsabilizzante.

Nell’elettorato che ha votato il Movimento 5 Stelle ci sarà sicuramente chi ha dato a Grillo una " delega pesante", chi davvero ha e manterrà posizioni fondamentaliste nell’ attesa illusoria del crollo dei partiti e di una palingenesi miracolosa e totale.

Ma il grosso di quell’elettorato ha dato comunque un voto per il cambiamento , liberandosi da vecchi condizionamenti e dalle precedenti appartenenze.

Un voto di protesta, certo, ma anche di richiesta di novità vere, indirizzata a chi vorrà davvero raccoglierla per riformare la politica, le istituzioni, cambiare indirizzi alla nostra economia, stare in un Europa più democratica e giusta.

Inviterei a non inseguire più di tanto Grillo che non va comunque sottovalutato. Sarà la sua presunzione di attore e regista a fermarlo, perché lo spettacolo che intende mettere in scena nella vita politica italiana ha, purtroppo per lui, vincoli che Freud ha ricondotto al " principio di realtà" : esistono limiti al nostro agire, in ambito locale e internazionale; esistono diversità di pensiero, di interessi, di valori che costituiscono un pluralismo irrinunciabile in ogni società democratica; esiste una "storia di lungo periodo" dei popoli e degli Stati che richiede ampie e profonde capacità riformatrici per superarla e per costruirne una nuova; esistono infine " finestre" di opportunità che vanno colte quando si presentano.

 Ha ragione Barbara Spinelli quando scrive " E’ il rischio del Movimento 5 Stelle : occupare un trono-postazione, in attesa dei tempi in cui il Messia verrà con il suo Regno. Non lo sfiora il sospetto che il Regno sia già qui, che l’attesa sia un escamotage . Che le vie non siano due, ma una : rinunciare all’isolamento splendido del trono e aprire un varco".

Questo varco ha tentato di aprire Bersani, nella quasi totale incomprensione di molti organi di stampa e testate televisive. Da Paolo Mieli a Lilli Gruber, agli editorialisti del Corriere della Sera si è tentato di costringere il PD all’abbraccio mortale con il PDL di Berlusconi.

 Ma questo ricorrente tentativo di ritornare alle larghe intese, sin dai tempi della Bicamerale di D’Alema, non è un altro tipo di escamotage, una fuga dalle responsabilità per non cambiare nulla in Italia ?

Cerchiamo di capire allora cosa chiede nel profondo una parte significativa della società italiana, la maggioranza delle giovani generazioni : dopo i galleggiamenti e l’incertezza paralizzante di questi anni , sono disponibili a rimettersi in gioco solo se si volta pagina.

L’italia ha bisogno di queste energie vitali, per riprendere il suo cammino, per non varare riforme solo dall’alto. L’unica strada è ascoltare il cambiamento, interpretarlo, sostenerlo, dargli forma.

 

 

 

 

 

 

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Editoriale

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