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Matteo Renzi è davvero un'alternativa all'Italia delle "scorciatoie"?

di Marco Pezzoni. Il fiorentino Matteo Renzi non è Mitterrand, lo statista francese ricordato come " le florentin". Non è un politico raffinato o un raffinato intellettuale. E' piuttosto un Tony Blair in salsa Pieraccioni. Abile e pragmatico, si è imposto nel debole sistema politico italiano con un gioco geometrico ben programmato: arrivato alla segreteria nazionale del PD ha in poche mosse dato il benservito e sostituito Letta al Governo del Paese. Renzi è un nuovo corsaro o un autentico riformatore? Per l'Italia è iniziata una fase nuova o stiamo ricadendo come Paese nella illusione che esistano scorciatoie per salvarci?
Matteo Renzi è davvero un'alternativa all'Italia delle "scorciatoie"?

Matteo Renzi Premier

 

Il Governo Letta non ha retto agli scossoni dovuti al doppio assestamento che ha attraversato il sistema di potere incentrato su Berlusconi, dopo la sua condanna definitiva per evasione fiscale, e quello incentrato sul Partito democratico, dopo le primarie di partito che hanno consacrato Renzi nuovo Segretario nazionale.

Eppure Letta aveva fatto un piccolo capolavoro, dopo l'uscita di Berlusconi dalla maggioranza delle larghe intese, riuscendo a scindere il centrodestra e a mantenere al Governo l'area dell'ex delfino Alfano.

Non è bastato, sia perchè ha temporeggiato troppo sul nodo rimpasto-rilancio del Governo, sia perchè non ha capito per tempo il disegno di Matteo Renzi.

Nemmeno il gruppo dirigente uscente del PD ha capito lo schema di gioco del sindaco di Firenze, al punto che si è caparbiamente incartato sul non modificare nello Statuto l'identificazione del ruolo di segretario del partito con quello di candidato Premier.

Così Matteo Renzi è stato addirittura agevolato dai suoi avversari interni che, nella campagna delle primarie, da Cuperlo a D'Alema, hanno insistito sul suo non essere adeguato o adatto a svolgere il ruolo di Segretario di partito.

Appunto! Renzi ha infatti usato quel piedestallo, quel ruolo legittimato dalle Primarie e dallo Statuto immodificato, per mirare al suo vero obiettivo: la Presidenza del Consiglio.

Con “spirito geometrico” ha programmato i vari passaggi con una facilità impressionante, come una lama penetra nel burro e con un dinamismo che ha lasciato di stucco chi avrebbe voluto contenerlo.

La narrazione della sua rapida scalata alla successione di Letta non può essere ricostruita come una serie di congiunture favorevoli a Renzi. Al contrario, siamo di fronte a tappe costruite con cinismo e intelligenza.

Il fatto che la maggioranza dei commentatori e dei giornali italiani, ma anche dei politici, abbiano seguito gli avvenimenti senza prevederne gli sviluppi e non abbiano mai guardato oltre il loro naso non giustifica la lettura della “sorpresa” di fronte al rapido siluramento di Letta e alla sua veloce sostituzione con il neo-segretario del Partito Democratico.

Una sostituzione “ all'inglese”, come avviene in Gran Bretagna, dove il Premier può essere sostituito nel corso della Legislatura dal suo stesso Partito, avendo vinto le elezioni.

In Italia, a dir la verità, il PD non ha propriamente vinto le elezioni ed è forza parlamentare di maggioranza relativa grazie al famigerato Porcellum.

Consapevole di questo, il Segretario Matteo Renzi ha cominciato a costruire sin da subito una seconda maggioranza sulle riforme istituzionali con un Silvio Berlusconi, passato all'opposizione ma desideroso di riscatto e di rivincita, dopo lo smacco della condanna e del rifiuto della Grazia da parte di Napolitano.

Chi, non a torto, ha criticato l'operazione di rilegittimazione di Berlusconi da parte di Renzi, non ha capito però che questo passaggio era il costo da pagare per far accettare alle opposizioni lo “strappo” della sostituzione di Letta senza necessariamente passare attraverso elezioni anticipate.

Chiaramente Renzi non ha guardato a tutte le opposizioni: dopo il fallito tentativo di Bersani con il Movimento Cinque Stelle, il fuorigioco di quest'ultimo è stato registrato senza grossi patemi.

La cosa più rilevante e più nuova, che non è stata sufficientemente sottolineata dai commentatori, è che lo scenario costruito da Renzi non è più quello voluto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Se prima era il Governo Letta a essere inglobato nel disegno di Giorgio Napolitano, come massimo garante di una transizione senza avventure, ora è il Governo Renzi a dettare le carte e, se non a inglobare, almeno a condizionare il ruolo del Presidente della Repubblica.

Il valore principale non è più la stabilità ma la capacità di fare riforme e ottenere risultati. Un cambio di passo, se non di paradigma, tutt'altro che negativo se il riformismo innescato dal dinamismo di Renzi fosse un riformismo efficace e non un riformismo dall'alto.

La destrutturazione economica,sociale e civile dell'Italia è giunta a un punto tale che attivare percorsi condivisi di concertazione attorno a grandi riforme è sempre più difficile.

La paralisi decisionale è sicuramente parte e complice di quella “palude” politica e morale nella quale il Paese intero sta scivolando da anni.

Ma siamo sicuri che il decisionismo renziano sia quella scossa vitale in grado di rimettere in moto la democrazia e la società in Italia ?

Oppure sarà solo capace di innovazioni di bandiera che non incidono in profondità ma si limitano a interagire con fattori superficiali della crisi ?

Da questo punto di vista la personalità di Renzi ricorda molto più il decisionismo craxiano che non la tradizione democristiana. Molto più Tony Blair che Obama.

Il progetto di Renzi rischia di essere una variante “nobile” delle varie scorciatoie che da 30 anni la politica e la società italiane hanno imboccato pur di non affrontare alla radice i nostri mali e le vere sfide della modernità e del mondo globale.

Quanto tempo abbiamo perso, quanta giustizia sociale e solidarietà abbiamo sacrificato, quanta regressione civile e morale abbiamo diffuso nella società italiana inseguendo le scorciatoie indicate dalla Lega Nord di Bossi e dal berlusconismo di Berlusconi ?

Occorre dire che la crisi economica e sociale dell'Europa rischia di resuscitare i fantasmi del passato e favorire il ritorno ciclico di nazionalismi, populismi, separatismi e razzismi.

In Italia questi processi di crisi della democrazia si accompagnano a una crescente sfiducia tra cittadini e politica che prende impropriamente il nome di antipolitica.

Ebbene Renzi come capo del Governo ha in mente tutto questo e ha deciso che la cura si fa agendo sui sintomi e non sulle cause.

Il nemico principale del Governo Renzi e del PD non a caso è rappresentato dal sintomo del malessere italiano, cioè dal Movimento 5 Stelle.

Se invece si volesse intervenire sulle cause della crisi del Paese, dalla corruzione all'evasione fiscale, dalla collusione con le mafie al lavoro nero, dai conflitti di interesse ai monopoli pubblicitari e televisivi, dal blocco dell'ascensore sociale alle disuguaglianze, dalla precarietà del lavoro alla deindustrializzazione, gli avversari di queste riforme Renzi se li ritroverebbe soprattutto nel centrodestra.

In questa fase e con i numeri disponibili nell'attuale Parlamento, realisticamente, Renzi può al massimo completare la transizione italiana verso un nuovo sistema politico e istituzionale e verso un bipolarismo rivisitato e riorganizzato E già questo sarebbe un traguardo straordinario visto l'attuale equilibrio tripolare che può trasformarsi più facilmente in sistema elettorale proporzionale che in sistema maggioritario bipolare. .

Non aspettiamoci dunque un Governo del cambiamento, perchè questo dovrebbe agire sulle cause della crisi. Aspettiamoci un Governo che riesca a chiudere la lunga scia illusoria delle “scorciatoie” all'italiana. Un bel paradosso: Renzi come scorciatoia nobile ed efficace per chiudere con tutte le scorciatoie del passato e rigenerare una democrazia rinnovata. Auguri.

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Editoriale

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