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Referendum Lombardia tra crisi dello Stato e derive centrifughe, tra muscoli e furbizie politiche

di Marco Pezzoni. Domenica 22 ottobre 7 milioni e 700 mila lombardi verranno chiamati ad un Referendum consultivo e senza quorum per pronunciarsi sulla richiesta di maggior autonomia della Lombardia. Nella stessa giornata si tiene in Veneto un Referendum simile, però con quorum, cosa che dimostra la maggior sicurezza del gruppo dirigente leghista in quella regione. In Lombardia si voterà con voto elettronico e ogni seggio elettorale sarà dotato di tablet. Metodo di voto nuovo che è servito a distrarre dal significato e dalla portata di questo referendum. Ad esempio che nelle intenzioni dei promotori non c'è alcuna volontà di tenere in seria considerazione lo spirito dell'articolo 75 della Costituzione italiana là dove recita "Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio", visto che il cuore della propaganda dei due Governatori leghisti Maroni e Zaia è il differenziale fiscale tra quanto Lombardia e Veneto "regalano" allo Stato e alle regioni del Sud e quanto ricevono. Il centrodestra in Lombardia e in Veneto dimostra comunque di avere una strategia politica e propagandistica se non altro pensata e concordata, chiaramente strumentale ma efficace. Invece il PD, dopo la sconfitta del 4 dicembre sul referendum costituzionale, si mostra incerto e confuso sia nella strategia che nella tattica. Il suo segretario Matteo Renzi è in giro col suo "tour in treno", totalmente assente dalla partita che si gioca nel Nord italia.
Referendum Lombardia tra crisi dello Stato e derive centrifughe, tra muscoli e furbizie politiche

Referendum in Lombardia: quanti al Voto?

Insomma riemerge per il PD e per le stesse forze a sinistra del PD la irrisolta "questione settentrionale". Il sindaco di Bergamo Gori, candidato PD alle prossime imminenti elezioni regionali, ha trascinato numerosi Sindaci del centrosinistra in Lombardia a votare Sì al referendum lombardo per motivi tattici: per non intestare la vittoria al suo prossimo avversario Maroni che correrà nel 2018 per la seconda investitura alla guida della regione Lombardia. Al contrario molti dirigenti del PD hanno giudicato totalmente inutile e strumentale il ricorso al referendum e predicano la non partecipazione al voto puntando ad ingrossare la quota dell'astensionismo. Un nucleo più ristretto infine giudica che non sia di sinistra mancare al voto e si pronuncia per il No.

Naturalmente tutte queste diverse e contrapposte posizioni hanno ragioni su cui appoggiarsi, ma è mancata clamorosamente la regia, soprattutto del PD,  per una controffensiva politica efficace e credibile. Così si subisce l'iniziativa del centrodestra che vede marciare insieme Maroni e Berlusconi.  Berlusconi, pure invecchiato e inceronato,  sembra il nuovo "Ghino di Tacco": sostiene il Referendum leghista in Lombardia e Veneto; propone di moltipicarlo in tutte le regioni italiane; si appresta a varare alleanze di centrodestra alle prossime elezioni regionali e, udite...udite, con la nuova legge elettorale " Rosatellum", si appresta a diventare decisivo col suo 15% nella formazione del prossimo Governo nazionale.

Infatti, grazie al "Rosatellum", Forza Italia dopo il voto potrà sfilarsi dagli apparentamenti nazionali con Lega e Fratelli d' Italia da un lato, allearsi dall'altro con il PD di Renzi per fare insieme un Governo di larghe intese come stato di necessità, compensare e tenere buoni gli alleati di centrodestra con la Presidenza di alcune regioni.  A cominciare da Musumeci, in Sicilia.

Il Movimento 5 Stelle, che ha dato una mano al centrodestra in Lombardia per confezionare il referendum sull'autonomia, si sente ormai più in alternativa al PD e alla sinistra sia a livello regionale che nazionale. Naturalamente, correndo da solo e in contrapposizione con i Governi nazionali attuali,  il suo nemico principale è il PD. Condivisibile o meno, questa posizione ha una sua razionalità strategica ed elettorale.

Non convince invece Matteo Renzi che cade nel tranello dei M5S e si mette a duellare praticamente solo con loro, invece di capire che il pericolo viene dal centrodestra e che il "corpo a corpo", che dice di voler ingaggiare, andrebbe rivolto soprattutto in quella direzione.

Eppure nella partita di questo Referendum lombardo ci sarebbe stato molto da dire e molto da controbattere da una posizione riformatrice e fedaralista seria.  Cominciando a credere di più nella forza delle idee, nella capacità dei cittadini di capire le questioni in gioco, invece di dare per scontata la narrazione dell'avversario e l'impossibilità di cambiarla, come nel caso delle posizioni di Gori.

Con il Referendum del 22 ottobre siamo di fronte ad una delega superflua e in bianco che gli elettori, votando Sì,  daranno alla Regione per iniziare un negoziato che arrivi poi ad un' Intesa Stato-Regione Lombardia. Negoziato  che non avrebbe bisogno di alcun referendum per essere avviato, come dimostra il caso della regione Emilia Romagna.

 

Da sempre i referendum si fanno su un contenuto: Repubblica o Monarchia, Riforma della Costituzione Sì o No, divorzio Si o No, Nucleare Si o No, Trivelle Sì o No, abolizione delle preferenze plurime Sì o No, ecc. ecc.

Nel Referendum del 22 ottobre, al parere dei cittadini non è sottoposto alcun contenuto ma si chiede di dare alla regione Lombardia il consenso per procedere ad un negoziato con il Governo centrale in base agli articoli 116 e 117 della nostra Costituzione.

Il quesito del referendum lombardo dissimula tutti questi passaggi successivi descrivendoli come " iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia".   Queste iniziative istituzionali necessarie sono nientemeno che un accordo condiviso tra Governo e Regione Lombardia che dovrà avere la forma giuridica specifica di  una Intesa Stato- Regione Lombardia ed essere poi approvata a maggioranza assoluta dal Parlamento italiano.

Peraltro la regione Lombardia in questi quattro anni di Presidenza Maroni non ha elaborato nulla di preciso e di pubblico su cosa vorrebbe andare a chiedere a Roma nel negoziato. Negoziato  che potrà riguardare due tipologie di materie: le materie di legislazione concorrente come elencate nel terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione e le materie indicate dal secondo comma dell'articolo 117 alle lettere l) limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace e alle lettere n) norme generali sull'istruzione e s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.  Le eventuali risorse da trasferire dallo Stato centrale alla regione Lombardia riguardano esclusivamente la gestione di queste materie e non altre rivendicazioni che riguardano i 54 miliardi che la Lombardia perderebbe ogni anno a favore dello Stato italiano.

Gli articoli 116 e 117 fanno parte del Titolo V della Costituzione approvato nel 2001. Dunque sono passati 16 anni da quando questo tavolo negoziale poteva essere richiesto e aperto. Il centrodestra governa la Regione Lombardia ininterrottamente da allora e Maroni da quattro anni. Non è stato aperto nessun negoziato, se non un timido tentativo di Formigoni bloccato dal Governo Berlusconi, con Maroni Ministro dell'Interno.

La Costituzione italiana prevede che è compito e responsabilità di ogni Regione ricorrere agli articoli 116 e 117 e non c'è bisogno di alcun referendum per poterlo aprire.

Allora? Siamo di fronte ad una iniziativa propagandistica per rafforzare i muscoli del governatore Maroni nei confronti del Governo  attuale e di quello futuro. Siamo di fronte ad una mossa che serve al centrodestra come rampa di lancio per rivincere le elezioni regionali di primavera. Siamo di fronte ad una delega in bianco che la regione Lombardia chiede per se stessa in funzione di una trattativa che si poteva e si può aprire senza referendum.

Delega in bianco e fiducia per contenuti e relative risorse che verranno decisi dopo e che richiederanno una specifica “ Intesa” tra regione Lombardia e Governo e poi anche un voto favorevole del Parlamento.

Nel sito ufficiale regionale del “Vota si” al Referendum ci sono anche falsità propagandistiche clamorose:

1) Si sostiene che “se vince il Sì la Regione gestirà direttamante più competenze e più risorse”. Abbiamo visto che invece si deve passare per un negoziato.

2) Si afferma che “ il Referendum serve per legittimare la regione a procedere”. No. La regione è già legittimata a ricorrere agli articoli 116 e 117 senza ricorrere ad un Referendum, peraltro consultivo.

3) Nel sito del Sì sta solo scritto “Si può chiedere il passaggio alla Regione di competenze su ambiente, istruzione, ricerca e sviluppo, imprese, sanità “ ma nulla di più .

Domanda: per favorire chi e cosa ? La scuola pubblica o quella privata, la sanità pubblica o le cliniche private, la chiusura degli inceneritori o il loro mantenimento ? Dalla maggioranza di centrodestra che governa la Lombardia non è arrivato nessun chiarimento.

Insomma una operazione ben congegnata  e furba che il PD non ha saputo o voluto smascherare e stanare nè a livello nazionale, prendendo negli anni scorsi come Governo una iniziativa, con la disponibiltà a negoziare, che anticipasse le mosse annunciate della Lega e del centrodestra, nè a livello regionale come opposizione. A breve ne vederemo le conseguenze.

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Editoriale

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