151° Unità d’Italia La costruzione dell’Italia nasce in Europa e nel mondo : decisivi gli esuli e la nostra emigrazione all’estero.
Di Marco Pezzoni - La costruzione dello Stato nazionale nella storia moderna e, ancor di più, nella storia contemporanea è dipesa dal contesto internazionale quasi quanto da fattori interni. Nella maggioranza dei casi la stessa autodeterminazione dei popoli ha dovuto fare i conti con formidabili vincoli esterni al punto da doversi imporre spesso come vero e proprio processo di liberazione. E questo è vero non solo per la storia dei Paesi ex o post-coloniali. Questo è vero per l’intero Occidente a cominciare dalla formazione degli Stati Uniti d’America.
Il Risorgimento italiano è un esempio clamoroso dell’interdipendenza tra fattori interni e fattori esterni e del peso decisivo del quadro politico internazionale. Di più : l’Italia unita e indipendente è possibile e pensabile solo perché è dentro le dinamiche della nuova Europa e rompe con i vecchi equilibri e i vecchi rapporti di forza dell’ ancien regime.
Dunque l’Italia degli ultimi duecento anni non è solo un Paese in ritardo nella costruzione di una identità nazionale; non è solo arretratezza economica, trasformismo politico, populismo autoritario con una gravissima caduta in una ventennale esperienza totalitaria. Presenta per fortuna alcune straordinarie originalità che nel 151° anniversario dell’Unità d’Italia è bene sottolineare, a cominciare dall’unicità del nostro Risorgimento che nessun revisionismo potrà ridimensionare se guardiamo alla ricchezza e complessità del pensiero politico che lo ha preparato e alla incredibile e diffusa partecipazione giovanile alle formazioni militari volontarie.
Ma l’aspetto che dovremmo richiamare, perché continuamente rimosso, è la rilevanza della emigrazione italiana nel mondo, nelle sue diverse fasi, prima e dopo il 1861. La tesi che vorrei sostenere è che gli italiani all’estero, soprattutto gli esuli, sono stati decisivi nel pensare e progettare l’Italia come nazione.
L’unità nazionale come obiettivo politico nasce più all’estero, nella contaminazione e nel contagio con altri movimenti, che nei sette Regni in cui era divisa l’Italia d’allora. Gli esuli per ragioni politiche e gli emigranti italiani, che già allora si spostavano per lavoro, sono stati uno dei motori principali nella costruzione di un Italia già globale, cosmopolitica ed europea. Basti ricordare che Giuseppe Mazzini, vent’anni prima dell’unità d’Italia, a Berna in Svizzera aveva fondato la Giovane Europa, ben consapevole che le spinte alla libertà dei popoli erano tra loro interdipendenti e si collocavano in un contesto internazionale.
A ben guardare, l’Italia già nel Risorgimento è una esigenza geopolitica della nuova Europa e parte fondamentale della sua riorganizzazione democratica, come aveva ben intuito ancora una volta Giuseppe Mazzini. E’ in questo quadro che vanno lette le manovre delle diplomazie europee e la finezza di Cavour nel tessere il proprio gioco internazionale. C’è l’antagonismo tra la Francia e l’Impero austro-ungarico. C’è una competizione fortissima tra la Francia e la Gran Bretagna per il controllo del Mediterraneo. E Cavour, pur detestando Mazzini, è stato tra quelli che meglio hanno capito la dinamicità del quadro europeo, l’indispensabilità del ricorso al contesto internazionale ad uso interno e l’importanza delle alleanze in politica estera.
Non è un caso che caratteri opposti come Cavour e Mazzini, Cattaneo e Manzoni, Gioberti e Garibaldi completano la loro formazione, definiscono meglio la loro visione fuori d’Italia: a Parigi, Bruxelles, Londra, New York.
L’ITALIA FUORI D’ITALIA PER ITALIANIZZARE L’ITALIA
Solo recentemente c’è stata una ripresa di attenzione sul gigantesco fenomeno della nostra emigrazione all’estero, ciclicamente rimosso dalla coscienza degli italiani che stanno in Italia. Da 6 anni la Fondazione Migrantes, diretta a Roma dal cremonese mons. Giancarlo Perego, elabora un Dossier annuale sugli “ Italiani nel mondo” che affianca l’altro Dossier sull’immigrazione straniera in Italia, giunta al 21° anno di pubblicazione. Le stime più recenti calcolano che nel mondo ci siano complessivamente tra i 60 e gli 80 milioni di “oriundi”, cioè di discendenti dagli emigrati italiani, mentre sono poco più di 4 milioni gli italiani residenti all’estero che mantengono la cittadinanza italiana e, dunque, il diritto di voto sia amministrativo che politico.
Dunque esiste un’altra Italia fuori d’Italia, altrettanto se non più numerosa dal punto di vista demografico. Sono finora pochissimi i Paesi al mondo che possono presentare tale proporzione tra popolazione residente e popolazione emigrata.
E’ evidente che la stragrande maggioranza di questi oriundi sono completamente integrati nei Paesi che li hanno accolti e molti non conoscono più la lingua italiana, visto che è passato tanto tempo dalle prime grandi ondate migratorie: ben 17 milioni di italiani sono emigrati dal 1880 al 1930 ! Ma gli effetti durano ancora oggi se è vero che le nostre esportazioni in macchinari, meccanica e mobili per la casa, cibo italiano, made in Italy nella moda e nel vestiario mantengono quote significativo di mercato anche grazie a questa vasta rete “mondiale” di condivisione di gusti, stili, prodotti.
La storia dell’Italia fuori d’Italia è stata troppo spesso letta come una storia separata e parallela. Persino la prestigiosa Storia d’Italia edita dalla Einaudi , che pure dedica al tema centinaia di pagine di enorme interesse storiografico, rischia di non riuscire del tutto a leggere l’interdipendenza dinamica tra le due Italie : quella interna e quella esule ed emigrata nel mondo.
Eppure a metà dell’ ‘800 Cesare Balbo già si era accorto della rilevanza dell’esodo degli italiani all’estero e del contributo che aveva dato proprio nel pensare e progettare l’idea dell’unità del Paese: “ una storia intiera e magnifica e peculiare all’Italia sarebbe a fare degli italiani fuori d’Italia”.
Nel 2003 è stato un ambasciatore italiano, Ludovico Incisa di Camerana, a misurarsi con questa sfida scrivendo il bel libro ”Il grande Esodo. Storia delle migrazioni italiane nel mondo”( Corbaccio Editore). L’autore parte giustamente dalla diffusione e dalla grande influenza della cultura italiana nel mondo non solo nel Rinascimento, ma persino in quel secolo di decadenza che va dalla seconda metà del Cinquecento alla seconda metà del Seicento. Per il grande storico francese Braudel “ il periodo di massimo irradiamento della civiltà italiana”. Dopo l’emigrazione conquistatrice di Leonardo e di Mazzarino in Francia, l’alleanza di Andrea Doria con Carlo v trasforma le guerre degli spagnoli in guerre dei genovesi. Sono in maggioranza italiani i Reggimenti che guerreggiano nelle Fiandre tra il 1560 e il 1600 sotto il comando del più grande condottiero del secolo, Alessandro Farnese. Il quale ha un sogno che rimarrà tale: sbarcare in Inghilterra, liberare e sposare Maria Stuarda.
L’Italia divisa di allora sforna grandi condottieri: dopo Farnese, Ambrogio Spinola. Dei Manuali militari in circolazione in quell’epoca in Europa la maggioranza sono scritti da italiani, soprattutto quelli sulle fortificazioni.. Vengono esportati Primi Ministri non solo in Francia, ma anche in Spagna: il cardinale Alberoni diventa Primo Ministro a Madrid.
Il Barocco è lo stile con il quale l’Italia parte alla riconquista dell’Europa . Con i propri filosofi, giuristi, medici, scienziati, architetti, musicisti gli italiani presenti nelle varie capitali sono secondo Braudel “ i professori dell’Europa intera”.
In Inghilterra Cromwel viene definito “ l’italiano,” riconoscendo Machiavelli come suo maestro.
L’ITALIA RINASCE A BERNA, PARIGI, LONDRA, NEW YORK, MONTEVIDEO
Non c’è dubbio però che è con l’illuminismo che avviene una vera presa di coscienza della situazione politica in cui versa la penisola italiana: non essere né Nazione né Stato. E questo lo capiscono per primi intellettuali, poeti , esuli ed emigranti.
Lo capiscono gli oppositori ai Regimi conservatori e reazionari che esercitano il loro dominio sulle varie parti d’Italia per tutto il ‘700 e che impediscono ogni forma di libertà di pensiero e di espressione; lo capiscono quei giovani dell’aristocrazia e della borghesia emergente che vanno a completare la loro formazione nelle capitali europee; lo capiscono quei marinai che con l’aumento dei collegamenti commerciali escono dal bacino del Mediterraneo e allargano i loro orizzonti.
Luigi Einaudi nota acutamente come “ il primo tipo di italiano immigrato in Argentina è il marinaio.” Marinai, commercianti e artigiani sono le prime figure delle comunità italiane che si costituiscono nelle città portuali delle Americhe. Raggiunti poi da esuli politici che trasmettono sogni e ideali, che fondano associazioni e giornali. Quando divampano le guerre per la creazione di nuovi equilibri e nuovi Stati indipendenti in America Latina la presenza di italiani non è un’eccezione. Nella Giunta rivoluzionaria di Buenos Aires 3 su 9 sono italiani.
Ricordando la vicenda di Giuseppe Garbaldi , le guerriglie condotte per mare e per terra tra Brasile, Argentina e Uruguay e l’abitazione dove visse con Anita e i figli, ora trasformata in casa-museo, qualcuno ha esclamato giustamente “ l’Italia rinasce a Montevideo !”
Scrive Incisa di Camerana a conclusione del Capitolo 7° intitolato “ Gli italiani all’estero fanno l’Italia” : “ Nel Risorgimento si verifica un fenomeno contrario a quello che si è verificato nel Rinascimento: non si italianizzano gli altri Paesi, si italianizza l’Italia.”
DA MAZZINI AI FEDERALISTI EUROPEI : L’IDEA DI COSTITUENTE
Il progetto politico del Risorgimento ha un pensatore principale: Giuseppe Mazzini. Possiamo discutere all’infinito dei suoi errori di valutazione, dei vari tentativi insurrezionali falliti, dell’eccesso di volontarismo e visionarietà . Possiamo persino ritenere che altre figure quali Cavour e Garibaldi siano state più efficaci e più decisive nel cogliere opportunità, indirizzare gli avvenimenti, dirigere i processi storici verso l’unificazione del Paese.
Ma la coscienza e la visione del progetto fondativo dell’Italia come Nazione è tutta di Mazzini. Fin da quando fonda la Giovine Italia, come strumento di partecipazione politica e di adesione ad una missione collettiva, anticipazione intelligente delle moderne forme partito. Rafforzata nell’esilio svizzero, quella sua visione nazionale ed europea, etica e civile, repubblicana e democratica è stata contagiosa per migliaia di giovani, ed ha effettivamente indicato la prospettiva di lungo periodo verso cui si è incamminata la società italiana.
Nel 1846-47 esule a Londra Mazzini scrive in inglese una serie di articoli sul concetto e valore di democrazia, si misura con le teorie liberali e individualiste da un lato e con le teorie dei democratici comunisti dall’altro, polemizzando con entrambi. Individua nella costruzione di un Partito Democratico Europeo l’azione più urgente per dare forza e rappresentatività al mondo del lavoro, delle professioni e delle imprese che dovranno operare in un mercato libero e aperto ma senza sfruttamento e senza lotta di classe, attraverso accordi e regole condivise, con istituzioni pubbliche in grado di garantire educazione a tutti e uno Stato capace di giustizia sociale, universalità dei diritti, associazione e cooperazione con altri Stati per prevenire la guerra.
Mazzini coglie a tal punto i rischi del nazionalismo che ben presto, accanto all’unità d’Italia per lui irrinunciabile, pone il traguardo della Federazione europea come Unione di popoli. Infatti per lui lo Stato-Nazione è una tappa nel cammino dei popoli verso un progresso sempre maggiore, quindi può dar vita a una Federazione più grande, dove però le differenti identità culturali e nazionali permangono e non vengono annullate in una omologazione massificata. Per questo nei suoi scritti londinesi Mazzini critica oltre al nazionalismo, quel cosmopolitismo modernizzante che si illude di cancellare velocemente le differenze e si chiede dove mai la democrazia del futuro potrà esprimersi se non nell’esercizio della sovranità dei popoli attraverso il voto a suffragio universale.
Per Mazzini, come repubblicano e come democratico, l’atto fondativo di un nuovo inizio nella storia di un popolo è la sottoscrizione di un Patto: è questo Patto condiviso che dà legittimazione alle Istituzioni del nuovo Stato. Questo Patto si chiama Costituzione. E il processo costituente parte dal popolo stesso che elegge propri rappresentanti per varare quella Carta costituzionale in cui tutti dovranno riconoscersi.
Nella fase costituente non esiste né Re né autorità alcuna che concede qualcosa. Nella fase costituente non si esercita né la forza di governo né la dittatura di una maggioranza. Si esercita piuttosto quel principio di responsabilità e rispetto verso tutti che è garanzia di coesione , di pluralismo, di mantenimento nel tempo della fiducia popolare nella validità delle proprie Istituzioni fondamentali.
Altiero Spinelli ha ripreso quest’idea di Mazzini e, prima di lui, dei Padri fondatori degli Stati Uniti d’America, quando ha visto che l’integrazione politica dell’Europa veniva continuamente frenata dai Governi nazionali che non intendono trasferire a livello sovranazionale quote significative di sovranità, poteri e competenze. Ancora oggi è il metodo e il potere intergovernativo ad essere prevalente nell’attuale U.E. e tuttavia i popoli europei sentono di aver perso quote di sovranità.
DA GARIBALDI AD ALTIERO SPINELLI : L’EUROPA DEI POPOLI E DELLA PACE
Giuseppe Garibaldi e Altiero Spinelli hanno giusto cento anni di differenza: il primo è nato nel 1807, il secondo nel 1907.
Per evitare il rischio di una spettacolarizzazione-banalizzazione del mito “guerriero” di Garibaldi, sarebbe bene seguire in profondità il filo delle grandi idee che ha voluto servire e promuovere e capire che la sua figura rappresenta anche quella dimensione internazionale che pure è stata indispensabile al progetto politico della rinascita dell’Italia come nazione.
Parlare di Garibaldi significa infatti non solo celebrare l’impresa dei Mille e l’unità d’Italia, ma anche ricordarsi dell'emigrazione italiana nel mondo, del Risorgimento costruito nell'esilio di New York e dell'America latina; significa parlare del diritto dei popoli; significa parlare del pensiero democratico moderno.
Così come parlare di Altiero Spinelli significa parlare del federalismo europeo, del progetto ancora incompiuto degli Stati Uniti d'Europa, di come arrivare ad una Costituzione europea che, purtroppo, non viene prevista dal compromesso raggiunto a Lisbona.
Non è una forzatura sostenere che esiste un filo rosso che lega i due personaggi. Nell'ottobre 1860, a Caserta dopo la battaglia del Volturno, Giuseppe Garibaldi scrive un Memorandum alle potenze d'Europa perché si facciano paladine dell'unificazione politica del continente in un unico grande stato federale, capace di riordinare dalle fondamenta i rapporti tra i popoli, nel rispetto dei diritti di ognuno.
Negli anni successivi dalla confluenza di esigenze democratiche e pacifiste nasce con sede a Ginevra la Lega per la pace e la libertà, sotto gli auspici di Garibaldi, Victor Hugo e John Stuart Mill. Il primo Congresso di questa organizzazione si tiene a Ginevra nel settembre 1867 con oltre 6000 partecipanti, Garibaldi presidente onorario. In questo periodo Garibaldi diventa fautore dell'idea dell'Arbitrato internazionale come modalità efficace per dirimere pacificamente le controversie tra le Nazioni. Inizia qui la strada che porterà alla nascita della Società delle Nazioni e poi all’ONU: si vedano a questo proposito i lavori di Anna Maria Isastia, dell'Università di Roma e l'approccio transnazionale di Donna R. Gabaccia, dell' Università del North Carolina.
Nel 1944 sempre a Ginevra, Altiero Spinelli riunisce diverse personalità di movimenti di resistenza che lottano contro il nazifascismo in rappresentanza di otto diverse nazionalità e, sviluppando le idee del Manifesto di Ventotene, lancia la piattaforma federalista del nuovo europeismo. In conseguenza di ciò nel marzo del 1945 ha luogo a Parigi la prima conferenza federalista europea con la partecipazione tra gli altri di Camus, Mounier, Orwell.
Quanti luoghi in Europa e nel mondo hanno visto la fecondità dell'azione e del pensiero di tanti esuli italiani, noti e meno noti, che sono i padri fondatori della nostra democrazia !
L’anniversario dell’Unità d’Italia è l'occasione per rileggere la nostra storia in modo meno convenzionale, non tanto secondo lo schema ortodossia/revisionismo quanto allargando lo sguardo al ruolo che abbiamo e abbiamo avuto nel contesto internazionale e ai processi di portata mondiale che hanno condizionato o interagito con la nostra storia nazionale .