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Giornata della memoria: banalità e stupidità del male

di Marco Pezzoni. Di fronte alla immane tragedia dell'olocausto è bene esercitare la memoria e il pensiero. Dialogare con le riflessioni di Hannah Arendt e Dietrich Bonhoeffer per cominciare a capire quali baratri nasconda la banalità del male, il fascino della potenza del potere verso milioni di persone che rivelano deficit umano e forme perverse di intelligenza subalterna. Solo così forse si può cominciare a capire come sia stato possibile che nel cuore cristiano dell'Europa, nella colta e progredita Germania, prima si sia affermato il nazismo e poi sia stata pianificata una violenza programmatica finalizzata allo sterminio di massa .
Giornata della memoria: banalità e stupidità del male

Anche i bambini: per non dimenticare !

Dall’ebraismo ho imparato il peso delle parole. Ho imparato che in ogni parola c’è un significato che è il risultato di una lotta e di una lotta che continua. Ogni parola, anzi ogni lettera dell’alfabeto ha radici antiche, evoca il faticoso percorso della formazione del linguaggio nella storia dell’uomo.

Una lettera, una parola può essere scritta o, meglio, incisa su una pietra, su una roccia, su una montagna : Comandamenti, testimonianze, invocazioni, segnali . Non solo perché li vedano gli dei, ma anche perché li rispettino gli uomini, amici e nemici.

Le lettere dell’alfabeto poi hanno un ordine e servono per ricreare un ordine nel mondo. Io non vedo il mondo, io leggo il mondo con gli occhi di un pensiero strutturato come linguaggio. Ogni singola parola assume poi una sua profondità.

Nella società liquida di oggi ogni parola assume invece la forma del contenitore in cui viene immessa e veicolata: diventa arma oppure pubblicità, vita parallela, "rappresentazione fasulla dell’esistente", come aveva detto tempo fa il cardinal Bagnasco denunciando la "catastrofe antropologica" nella quale è caduta la società italiana e invocando per l’attuale emergenza educativa una "nuova alfabetizzazione etica."

Nelle moderne strategie militari la guerra culturale e informativa su come si legge la " guerra vera" è parte fondamentale della sua legittimazione. Nella lotta alla criminalità organizzata la capacità di Saviano di descrivere con precisione di linguaggio la camorra è il mezzo migliore per demitizzarla, inchiodarla alla sua disumanità. Sempre che l’opinione pubblica mantenga una sua autonomia di giudizio e dunque che il linguaggio non venga "arruolato".

La campagna di Berlusconi contro i giudici, indicati come suoi nemici, serve preventivamente a delegittimare il loro ruolo e le loro sentenze. Così come banalizzare da parte sua il ruolo del regime fascista e alleggerire le colpe e le responsabilità di Mussolini deriva non tanto da un revisionismo storico, di cui Berlusconi non può avere la minima consapevolezza, quanto dal suo qualunquismo indifferente se non insofferente nei confronti della qualità e del valore della democrazia. Provare "orrore" nei confronti dei suoi giudici, come ripete spesso Berlusconi, e non provare orrore nei confronti del fascismo, a cominciare dal delitto Matteotti, significa diminuire la distanza tra democrazia e regime totalitario. Un modo di manipolare linguaggio, scala dei valori, storia.

Se uno Stato di Diritto viene trasformato in un’arena, ogni parola viene manipolata, viene contesa e diventa contesa: quello che importa è il suo uso strumentale o contundente, non più la sua profondità.

Quando penso all’ORRORE penso ai campi di concentramento nazisti , penso all’olocausto degli ebrei, all’eliminazione degli zingari e degli omosessuali. Penso ai " desaparecidos" dell’America Latina. Penso alle foibe del Carso e ai gulag sovietici, alla resistenza di quei dissidenti che si rifiutavano di vendere l’anima ai loro aguzzini, anche se non credevano di averla. Penso ai genocidi degli armeni, e a quelli più recenti in Cambogia, Bosnia e Ruanda.

La coscienza di ciascuno di noi dovrebbe chiedersi quanto è profondo l’abisso di orrore che ha organizzato e pianificato la morte di milioni di persone innocenti. Dovrebbe fermarsi a riflettere quanto sia profonda la disumanità di cui siamo capaci. C’è l’illusione che quel baratro noi l’avremmo saputo evitare. La filosofa Hannah Arendt ci smentisce e parla giustamente della banalità del male. Sono persone come noi che sono diventati assassini legittimati da uno Stato criminale; spesso giudicato criminale dai più, solo quando questo Stato ha perso il conflitto.

 L’incapacità di pensare secondo Hannah Arendt

Nel 1961 la Arendt si reca a Gerusalemme, inviata dal New Yorker, per assistere alle 120 sedute del processo ad Adolf Eichmann e si rende conto che le azioni mostruose del nazismo sono state eseguite da persone normali, da grigi burocrati come Eichmann che sostengono di essersi in fondo occupati " solo dei trasporti", rivelando la loro "incapacità di pensare".

Per la Arendt la banalità è senza profondità, non ha radici, cresce come un fungo in superficie. Il male che produce non è mai "radicale" ma " estremo". Si chiede come una intera società possa sottostare ad un totale cambiamento degli standard morali senza che i suoi cittadini emettano alcun giudizio circa ciò che sta accadendo.

Nazionalismo, razzismo, fanatismo ideologico o religioso, intolleranza ma anche conformismo e opportunismo, passivizzazione e delega sono processi che piegano parole e persone alterandone la coscienza.

I teorici del nazionalismo serbo, ben prima di Hitler, chiamavano "ciscenje", cioè "purificazione" la cacciata e la distruzione dei musulmani di Bosnia e del Kossovo. La pulizia etnica nasce sin dall’inizio come purificazione di una identità. L’altro, il diverso da me, attenta alla mia identità per il solo fatto di esistere. E allora cacciarlo, sradicarlo dai territori in cui vive da centinaia di anni è legittima difesa, difesa del mio "spazio vitale."

Ma l’ebrea Hannah Arendt scrive anche che c’è di peggio dello sradicamento di un popolo che viene cacciato e perseguitato: quello che umilia più dell’esilio, più della diaspora è negare a un popolo, a una minoranza, a una persona " il diritto ad avere diritti".

Quanta violenza c’è in questa negazione ! Eppure noi, italiani " brava gente", giustifichiamo ogni giorno la cacciata degli immigrati clandestini che, sollecitamente, vengono respinti in Africa , senza preoccuparci di cosa accada loro nelle decine di Campi di detenzione. I più sensibili ne fanno una questione di Diritto Internazionale che prevede, prima della eventuale espulsione verso l’Africa, una seria valutazione della richiesta di diritto d’asilo. Ma basterebbe essere umani, basterebbe essere cristiani per vedere in ciascuno di quei disperati una persona come noi, un nostro fratello, una nostra sorella, lo stesso volto di Cristo.

Il realista di turno sogghigna e ti dice " prenditeli a casa tua !" Ne fa una questione di numeri, di sostenibilità sociale, di concorrenza per la casa e per il posto di lavoro. Soprattutto il realista di oggi ha bisogno di segnare l’immigrato con lo stigma della diversità, dell’ultimo arrivato, così da creare una gerarchia tra chi ha più diritti e chi ne ha meno.

Il razzista invece non vuole nemmeno riconoscere l’altro come portatore di diritti, come persona che è della " stessa e unica famiglia umana." Deve assolutamente rimuovere questa comunione originaria e di destino, mettendo al suo posto l’inimicizia, l’irriducibilità di costumi e valori, lo scontro di civiltà.

La negazione dell’altro avviene rimuovendone la comune umanità e costruendone socialmente nel linguaggio quotidiano un’immagine pericolosa, criminale, deviante.

Il grande pacifista John Galtung ha scritto che "il contrario della Pace non è la Guerra, ma è la Violenza". E Primo Mazzolari in " Tu non uccidere" ha ben compreso le dinamiche psicologiche, culturali e sociali che hanno preparato Auschwitz e portato un’intera società prima a criminalizzare gli ebrei e poi a trasformarsi in complici e carnefici.

 L’assenza della libertà interiore secondo Bonhoeffer

La deriva non viene generata di colpo né viene solo dall’alto, per impulso di un Capo o di un regime da lui affascinato e costruito. Si genera anche dal basso, nella società e nella comunità.

Dietrich Bonhoeffer, giovane pastore evangelico tedesco, intellettuale e tra i più grandi teologi del XX secolo, fu tra i primi a comprendere la drammaticità della deriva nazista, a opporsi e a richiamare la sua Chiesa ad uscire da ambiguità e incertezze. Accusato di " alto tradimento" e incarcerato dalla Gestapo nell’aprile del 1943 per aver fatto parte di un complotto contro Hitler , negli ultimi suoi due anni di vita scrisse riflessioni di straordinaria profondità : " Siamo stati testimoni muti di azioni malvagie, ci siamo lavati con molte acque, abbiamo imparato l’arte della mistificazione e del discorso ambiguo, l’esperienza ci ha reso diffidenti verso gli uomini e spesso abbiamo loro mancato nella verità e nella libera parola ; conflitti insopportabili ci hanno reso arrendevoli o forse persino cinici. Serviamo ancora a qualcosa?

Non di geni né di cinici né di gente che disprezza gli uomini né di tattici raffinati abbiamo bisogno, ma di uomini aperti, semplici, diritti. Ci sarà rimasta tanta forza di resistenza interiore contro le situazioni imposteci, ci sarà rimasta tanta spietata sincerità verso noi stessi da poter ritrovare la strada della semplicità e della rettitudine ? "

Sempre nella raccolta postuma di scritti " Resistenza e Resa. Lettere e appunti dal carcere" c’è una riflessione di straordinaria attualità sulla stupidità : " La stupidità è un nemico del bene più pericoloso che la malvagità. Contro il male si può protestare, si può smascherarlo, se necessario ci si può opporre con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, mentre lascia perlomeno un senso di malessere nell’uomo. Ma contro la stupidità siamo disarmati. Qui non c’è nulla da fare, né con proteste né con la forza; le ragioni non contano nulla; ai fatti che contraddicono il proprio pregiudizio basta non credere, e se i fatti sono ineliminabili, basta semplicemente metterli da parte come episodi isolati privi di significato. In questo lo stupido, a differenza del malvagio, è completamente in pace con sé stesso; anzi, diventa perfino pericoloso nella misura in cui, appena provocato, passa all’attacco."

"Per sapere come possiamo accostarci alla stupidità, dobbiamo cercare di capirne l’essenza. Per ora è appurato che essa non è un difetto intellettuale, ma un difetto umano. Ci sono uomini di straordinaria agilità intellettuale che sono stupidi e altri, molto lenti e incerti intellettualmente, che sono tutt’altro che stupidi."

" A un’osservazione più attenta, si vede che ogni forte manifestazione di potenza esteriore, sia di carattere politico che di carattere religioso, investe di stupidità gran parte degli uomini…La potenza dell’uno ha bisogno della stupidità degli altri. Il processo attraverso cui ciò avviene non è quello dell’improvvisa atrofizzazione o sparizione di determinate doti dell’uomo – nel caso specifico, di carattere intellettuale – ma di una privazione dell’indipendenza interiore dell’uomo, sopraffatto dall’impressione che su di lui esercita la manifestazione della potenza.."

" Divenuto in tal modo uno strumento privo di volontà, lo stupido è capace di commettere qualsiasi male e di non riconoscerlo come male. Qui sta il pericolo di un diabolico abuso, con il quale certi uomini possono venir rovinati per sempre. "

" Ma è particolarmente evidente, proprio in casi come questi, che la stupidità potrebbe essere superata soltanto con un atto di liberazione e non con un atto di indottrinamento. E qui bisognerà rassegnarsi a dire che un’autentica, intima liberazione, nella maggioranza dei casi diventa possibile qualora sia preceduta da una liberazione esterna…( "Resistenza e Resa", pagg 62,63,64. Bompiani).

Bonhoeffer ha pagato con la vita la coerenza con quel " coraggio civile che può scaturire soltanto dal libero senso di responsabilità dell’uomo libero." Anche se l’accusa verso di lui è stata poi cambiata in quella più blanda di " demoralizzazione della truppa" , a Berlino i capi nazisti decisero che si doveva assolutamente eseguire la sua condanna a morte .

Fu impiccato nel lager di Flossenburg il 9 aprile 1945. Aveva trentanove anni.

 

                                                                                                                      Marco Pezzoni

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