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L'assassinio di Falcone e Borsellino fu solo mafia ?

di Annamaria Abbate. Stanno emergendo con sempre maggiore forza testimonianze importanti e credibili sui moventi che hanno determinato l'assassinio dei giudici Falcone e Borsellino. Anche l'ex giudice Giuseppe Ayala, loro amico, in questa intervista con il giornalista Andrea Vianello, ricostruisce il quadro delle ragioni e delle complicità che hanno deciso le stragi. "Non fu solo mafia" è anche la tesi principale del suo ultimo libro " Troppe coincidenze", presentato nella sede della Prefettura di Ragusa, dove si è svolta l'intervista. Falcone e Borsellino erano venuti a conoscenza delle trattative tra servizi dello Stato e mafia. E per questo o anche per questo furono assassinati.
L'assassinio di Falcone e Borsellino fu solo mafia ?

i giudici Falcone e Borsellino

La grande lapide che ricorda, citandole una ad una, le vittime delle stragi di Capaci e di via D’Amelio è completamente nascosta dietro la folla di donne e uomini di tutte le età pigiati in ogni angolo. L’occasione è la presentazione di Troppe coincidenze (ed Mondadori) di Giuseppe Ayala, amico e collega di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Non a caso gli organizzatori del festival letterario "A tutto volume – Libri in festa a Ragusa" hanno scelto una sede istituzionale, la Prefettura, per parlare di quei"giorni in cui gli eventi della politica si intrecciarono con quelli criminali, sino al punto da marchiare la gran parte dei percorsi che hanno segnato il destino del Paese". Erano i giorni in cui fu introdotto il 41 bis, il regime carcerario speciale per i mafiosi; i giorni di Tangentopoli, quando sembrò che sotto la spinta di un forte movimento popolare l’Italia potesse ripulirsi e che fosse portata di mano l’occasione di un rinnovamento politico e istituzionale; i giorni di Capaci e di via D’Amelio e poi quelli delle bombe di Roma, Firenze e Milano.

La domanda tremenda che non dobbiamo aver paura di porci è: fu solo la mafia la responsabile delle stragi del 1992 e del 1993? E come mai in seguito decise di rinunciare all’attacco allo Stato? Hanno avuto un ruolo le Istituzioni nella"pax mafiosa " durata fino ad oggi?

Ayala, letteralmente abbracciato dalla folla, risponde ripercorrendo gli ultimi vent’anni della nostra storia con metodo e rigore di magistrato. Ricostruisce connessioni e coincidenze tra eventi apparentemente distanti e svela le relazioni indicibili tra Cosa nostra, "poteri occulti", pezzi "deviati" dello Stato e politica. Gran narratore, usa tutti i registri espressivi con la sapienza dei grandi maestri siciliani. L’eloquio fluido ed elegante, scivola via argentino quando ricorda episodi divertenti che pur accadevano in un contesto ordinariamente drammatico come la vita dei magistrati di Palermo, si fa dolorosamente trattenuto nei punti più crudi del racconto. Le figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ci appaiono, nelle parole dell’amico e collega, in tutta la loro pienezza: non eroi né martiri, ma uomini coraggiosi e tenaci che credevano in quello che facevano.

Questi i punti salienti del dialogo tra Giuseppe Ajala ed il giornalista Andrea Vianello che coordinava la serata.

Vianello – Ero cronista al salone del libro. Alla notizia della strage di Capaci corsi a Palermo per Falcone. Due mesi dopo dovetti tornare per Borsellino. Palermo era colma di rabbia e di dolore. L’immagine che mi è rimasta scolpita nella memoria è quella di Ayala ai funerali degli agenti di scorta. La folla gravida di rabbia urlava"fuori la mafia". Il furore popolare prese di mira il Presidente Scalfaro. Ayala come un Cristo con le braccia allargate si mise a protezione del Presidente che uscì indenne nel fisico ma non nel cuore dalla chiesa. Com’è Ayala 20 anni dopo, cosa ha perso, oltre i due amici e cosa ha guadagnato?

Ayala – Sono contento di essere qui, proprio qui, stasera. Se ci troviamo in una sede istituzionale è perché abbiamo bisogno di un Paese migliore, diverso e più pulito. Sono passati vent’anni. Oggi sono più vecchio, l’anagrafe non si ferma. Avevo un rapporto straordinario con Falcone, strettissimo. Vedevo meno Borsellino perché lui non era a Palermo ma a Marsala. Nel ‘92 spinto da Falcone accettai di candidarmi in parlamento per il PRI. Borsellino, è cosa risaputa, era di destra. Falcone organizzò un dibattito, non ricordo su cosa, forse sulla crisi della giustizia, per aiutarmi in campagna elettorale. Volle coinvolgere anche Borsellino che però mi avvertì "facimo sta marchetta"(in siciliano ndr), ma io non ti potrò votare, sono profondamente monarchico. Hai mai visto tu un monarchico che vota un repubblicano?" La famosa foto di Gentile che ritrae Giovanni e Paolo sorridenti fu scattata in quell’occasione. Giorni dopo andai a trovare Paolo nel suo ufficio. Si fece trovare teatralmente accasciato sulla sua scrivania. "Sto male" disse , "ho un malessere che mi monta dentro da domenica mattina. Sono andato a votare e ho pensato: e se ad Ayala per essere eletto dovesse mancare un voto? Allora ti ho votato ma da allora non mi sono ancora ripreso.". Questo era Paolo Borsellino.

Vianello – Parliamo di "Troppe coincidenze". Alla notizia della bomba di Capaci Ayala corre in aeroporto ed è il primo a dire quello che gli altri non hanno il coraggio di dire: non è solo mafia …

Ayala – Nel 1981 fu scoperto il tentativo di un attentato all’Addaura, cinquantotto candelotti di dinamite in una borsa da nei pressi della villa dove era in vacanza Falcone. Giovanni fu immediatamente prelevato così come si trovava e portato nel bunker. Mi telefonò, chiese di vedermi, lo raggiunsi subito. Lo trovai con mezza barba fatta e mezza no. Ci ridemmo sopra. Non aveva neanche avuto il tempo di finire di radersi tanta era stata la rapidità dell’operazione. Poi mi fece un’analisi lucidissima della situazione. Non ho mai raccontato quello che mi disse e non lo dico ora perché non faccio parlare i morti come invece fanno altri. I giornali descrissero l’attentato come una semplice intimidazione, qualcuno addirittura disse che l’attentato Falcone se l’era preparato da sé. Fu allora che Giovanni parlò di menti raffinatissime, di centri occulti di potere che possono avere interessi convergenti con quelli di Cosa nostra. Dopo l’uccisione di Falcone fui invitato da Fernanda Contri del CSM. Raccontai degli appunti che Falcone aveva nel computer, una sorta di diario. L’indomani anche Paolo Borsellino confermò che esistevano annotazioni nel computer di Falcone. Non ne è stata trovata neanche una, non un’annotazione è stata trovata, sono state tutte cancellate. Un uomo della mafia non può farlo.

Vianello – E’solo un caso che era in corso l’elezione del Presidente della Repubblica?

Ayala – Cossiga si era dimesso con qualche mese di anticipo. Nella DC non c’era accordo pieno su Forlani, si tardava a trovare l’accordo. Scalfaro non era assolutamente in corsa, era già ben collocato come Presidente della Camera. Il lunedì Forlani non ce la fa per 39 voti, poi per 29. La sua candidatura fu ritirata e si scatenarono gli andreottiani. Claudio Vitalone mi contattò per sostenere Andreotti. Risposi che avrei fatto quello che avrebbe deciso il mio gruppo, le trattative erano in corso. Sull’aereo che mi portava a Palermo quel 23 maggio mi chiedevo se la candidatura Andreotti dopo l’attentato di Capaci poteva restare ancora in piedi. Petruccioli che all’epoca gestiva le trattative per il PDS, nel suo libro

Rendiconto racconta che Nino Cristofori, andreottiano sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, gli telefonò, gli chiese un incontro e gli parlò della strage di Capaci come di un attacco diretto per sbarrare la strada di Andreotti al Quirinale. Lo considerava un messaggio chiarissimo. Era esattamente quello che pensavo io mentre ero sull’aereo per Palermo. Lo pensavo perché il 12 marzo era stato ammazzato Salvo Lima, non un colluso ma un mafioso, un mafioso che era luogotenente di Andreotti.E perché fu ammazzato? Il 30 gennaio in cassazione la sentenza del maxiprocesso era stata confermata: 19 ergastoli a tutti i capi di mafia. Lima aveva promesso a Cosa nostra di aggiustare il processo in cassazione ma non ci era riuscito. Falcone si era inventato il monitoraggio per capire . Vi ricordate Corrado Carnevale? Era detto ammazzasentenze perché "aggiustava" tutte le sentenze che gli arrivavano in cassazione. Brancaccio poi si era inventato la rotazione dei Presidenti di Cassazione, così per il maxiprocesso invece che Carnevale andò Valente e la sentenza fu confermata. Lima fu ucciso per questo, per non aver mantenuto la promessa. Andreotti partecipò ai funerali di Lima ma non a quelli di Falcone.

Vianello – A quel funerali quelli della Dc sembravano statue di cera. Torniamo alla domanda: fu solo mafia?

Ayala – Stava cambiando il mondo, c’era tangentopoli, solo un’altra coincidenza? In Parlamento ero nella giunta per le autorizzazioni a procedere, gli atti li leggevo tutti. La sostanza c’era e come! Era la fotografia di una corruzione per me scioccante, fu coniato il termine "corruzione ambientale". Giuliano Amato ha l’incarico da Scalfaro, ma ai primi del ’93 cade. Il Presidente si rivolge allora al Governatore della Banca d’Italia. Mai successo che un non politico, neanche parlamentare, andasse ad occupare quella poltrona. Tutti gli attentati, Milano, Roma, via dei Georgofili a Firenze, avvengono tutti durante il Governo Ciampi. La mafia ritiene di dover alzare con l’intimidazione il suo potere contrattuale approfittando dell’indebolimento politico. L’ultima strage viene per fortuna sventata il 23 gennaio 1994. Allo stadio Olimpico viene trovata una Lancia Thema imbottita di tritolo. Il telecomando per fortuna non aveva funzionato. Sono diciotto anni che la mafia non uccide più, in coincidenza con il cambiamento del quadro politico. Un’altra coincidenza? O l’ipotesi della trattativa. Brusca tira fuori il famoso "papello" le richieste che la mafia avrebbe fatto per allentare le stragi. Tra cui l’alleggerimento del 41 bis che viene di fatto allentato: un certo numero di 41 bis non vennero rinnovati.

Vianello - Tra Capaci e via D’Amelio cosa successe? Borsellino aveva capito che era in corso la trattativa?

Ayala – Rifuggo dalla dietrologia. Mi attengo ai fatti. Borsellino era procuratore aggiunto a Palermo, io ero in Parlamento. Nino Caponnetto mi telefona: " fai un salto da Polo, lo sento molto giù". Falcone era morto da un mese. Andai a trovarlo, gli dissi di rallentare, di lavorare meno. Mi rispose." non posso, perché mi resta poco tempo". Ancora oggi non so come definirlo, non so perché, ma non gli chiesi "cosa vuoi dire?". Non glielo chiesi. Però riferii a Caponnetto quella frase e lui mi rivelò che era esattamente la stessa frase che aveva detto a lui. Io non so su cosa Paolo fondasse questa sua certezza. Quando Il 6 agosto del 1985 fu ucciso Nini Cassarà, Falcone fu mandato all’Asinara sotto protezione per un mese. Perché dopo l’uccisione di Falcone non fu usata la stessa cautela per Borsellino? Neanche la zona rimozione sotto casa della mamma di Borsellino misero. Questi sono i fatti certi. Borsellino visse quei giorni in maniera frenetica. Cinquantasette giorni dopo la morte di Falcone, Borsellino stava interrogando il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, quando venne convocato al Viminale. Mutolo ha raccontato che Paolo tornò sconvolto perché vi aveva incontrato Bruno Contrada l’uomo de Sisde colluso con Cosa Nostra. Era sconvolto al punto di non accorgersi di avere due sigarette accese in mano. Nicola Mancino, all’epoca ministro dell’Interno non ricorda di aver mai fatto quell’incontro.

Vianello – Altro mistero: la scomparsa della famosa agenda rossa

Ayala – Quando fu ucciso Falcone, raggiunsi Palermo in aereo grazie ad un passeggero che mi cedette il suo posto. Non ho mai saputo chi fosse questo generoso, non ho mai potuto ringraziarlo. Quando fu ucciso Borsellino fu diverso. Abitavo poco distante, accorsi immediatamente. Quello che vidi in quel giardinetto non si può descrivere. Erano sparsi ovunque pezzi degli agenti di scorta. Quasi inciampai in un tronco di uomo carbonizzato. Mi abbassai e lo riconobbi dai due denti davanti, inconfondibili un po’ incavati, e il naso aquilino. Era Paolo. Riconobbi la sua macchina bruciata, era quella della Procura della Repubblica, inconfondibile perché aveva l’antenna radio sul portabagagli anziché sul tetto. Avevo con me la borsa di Paolo, uscii dal piccolo giardino, mi sentivo come in un tunnel. Dopo ho fatto sforzi sovrumani per ricordare senza riuscirci. Ho consegnato a qualcuno quella borsa. Abitavo poco distante. Si era sparsa la voce che l’attentato fosse per me. Felice Cavallaro, l’inviato del Corriere della sera mi chiese: "i tuoi figli?" Io diedi la borsa all’ufficiale dei carabinieri e corsi a casa. Anni dopo arriva un filmato che ritrae un ufficiale in borghese che si allontana con la borsa. Nessuno sapeva dell’agenda del 1992. Cosa ci fosse scritto dentro, nessuno lo sa. L’agenda è scomparsa e fa il paio con le annotazioni cancellate dal computer di Falcone e la cassaforte di Dalla Chiesa svuotata.

Vianello: Pensi che siamo vicini alla verità? Chi sono i mandanti esterni di queste stragi? O dobbiamo rassegnarci a non conoscere mai la verità?

Ayala – No. Rassegnarsi, mai! Grazie ai colleghi di Caltanissetta si è sgomberato il campo dal falso. Perché non sperare che ora finalmente si può fare strada al vero? Paolo diceva"Chi ha paura muore ogni giorno". E’ il titolo del mio primo libro che scrissi perché mi ero reso conto che queste vicende sono in un limbo conoscitivo: non sono ancora storia, non sono più cronaca. Alcuni giovani, interrogati su chi fosse Falcone hanno risposto di non conoscerlo, qualcuno ha detto un pentito. Ho voluto colmare questo vuoto conoscitivo anche con questo libro, soprattutto per loro, per i giovani(indica le decine di ragazzi attentissimi, seduti ai piedi della gradinata)

Vianello – Gabriel Garcia Marquez fa dialogare i vivi e i morti. Se tu potessi parlare a Falcone e Borsellino cosa gli diresti?

Ayala – Falcone ha cambiato la mia vita due volte: quando vi è entrato e quando vi è uscito. Non erano superuomini, erano due uomini coraggiosi, tenaci, di grande, straordinaria umanità. La loro umanità era la caratteristica più forte. Se potessi gli direi solo"Mi mancate".

Articolo di Annamaria Abbate pubblicato il 29 maggio 2012 sul sito de L'Unità

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