India, le scelte che non rassicurano
La vicenda dei due Fucilieri di Marina del Battaglione San Marco accusati dell’omicidio di due pescatori indiani non è solo un contenzioso bilaterale. C’è la possibilità che debba essere abbandonata una delle poche formule di una qualche efficacia per arginare il dilagante fenomeno della pirateria.
di Vittorio Emanuele Parsi
La Stampa 21/2/2012
Sono sempre più complicati i contorni della vicenda che vede due Fucilieri di Marina del Battaglione San Marco accusati dell’omicidio di due pescatori indiani. È una questione che sta provocando il rapido surriscaldamento delle relazioni tra Italia e India, che sarebbe però riduttivo inquadrare unicamente come un contenzioso bilaterale. In gioco, c’è molto di più: c’è la possibilità che una delle poche formule di una qualche efficacia approntate e attuate dalla comunità internazionale per arginare il dilagante fenomeno della pirateria debba essere abbandonata.
Con il passare del tempo i fatti si andrebbero chiarendo – sia rispetto alla dinamica (chi ha sparato e quando) sia rispetto al luogo in cui sono avvenuti – ma questo purtroppo potrebbe non comportare la rapida soluzione di questa brutta vicenda. La Marina sostiene che i due marinai del Nucleo Militare di Protezione, imbarcati sulla «Enrica Leixe» avrebbero sparato raffiche di avvertimento nei confronti di un’imbarcazione ritenuta ostile, che non l’avrebbero comunque colpita e, anche grazie al supporto di prove documentali (tracciature GPS), che l’incidente sarebbe avvenuto in acque internazionali. Le autorità indiane, dal canto loro, sostengono una tesi opposta: gli italiani avrebbero agito con negligenza e leggerezza, causando la morte dei pescatori all’interno delle acque territoriali di Delhi.
Di fronte a versioni così contrastanti, sarebbe della massima importanza poter determinare immediatamente, in maniera tanto incontrovertibile quanto collaborativa l’esatta dinamica dei fatti. Nulla di quanto finora compiuto dalle autorità indiane va purtroppo in questa direzione. La nave italiana sarebbe stata invitata ad attraccare al porto indiano di Kochi con l’inganno, allo scopo di attirare a terra i due Marò, così da poterli prendere in custodia. Alle autorità diplomatiche italiane non sarebbe stato concesso di poter esaminare le prove a disposizione degli inquirenti indiani. L’intera vicenda, infine, sarebbe stata gestita con un tono da psicodramma nazional-populista che non lascia sperare nulla di buono.
I timori che i nostri militari possano andare incontro a un processo farsa con il rischio di dover affrontare una lunga condanna detentiva è concreto. Se il ministro degli Affari Esteri fa bene a ribadire tanto la correttezza della posizione italiana quanto la sua fiducia nella «rule of law» indiana, la dura realtà è che il sistema giudiziario indiano è tutt’altro che affidabile o indipendente, per nulla scevro da atteggiamenti revanscisti quando ha per le mani degli occidentali. La vicenda di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, detenuti dal febbraio 2010 con una strampalata imputazione di omicidio o quella di Angelo Falcone condannato a dieci anni di carcere duro per accuse incoerenti col suo profilo sono solo alcune delle tante che si potrebbero raccontare.
La democrazia indiana, soprattutto nella sua articolazione a livello dei singoli Stati della Federazione, è piagata da una corruzione spaventosa che le autorità centrali di Delhi non sono mai riuscite a contrastare. Per la fretta con cui è giunto a conclusioni così certe di colpevolezza, il ruolo del governatore dello Stato del Kerala appare quantomeno sospetto; al punto che è stata avanzata l’ipotesi che il coinvolgimento dei marinai italiani potrebbe essere stato deciso per coprire responsabilità altrui traendone oltretutto tornaconto politico. È emerso infatti che i pescatori fossero tutti cristiani e non è purtroppo così peregrina l’ipotesi che la loro imbarcazione possa essere stata bersagliata da estremisti hindu che ora qualcuno cerca di proteggere, oltretutto agitando la bandiera della dignità nazionale offesa dai soliti occidentali arroganti.
Certo è che se l’Italia non riuscisse a ottenere la rapida riconsegna dei suoi due Marò, l’intera questione degli NMP dovrebbe essere riconsiderata, con la possibile cessazione di un’attività che diverrebbe insostenibilmente rischiosa se, oltre a fronteggiare i pirati, dovessero vedersela anche con Stati che agiscono in maniera piratesca: con un danno evidente per lo sforzo che l’intera comunità internazionale sta dispiegando contro questo nuovo flagello. Spiace constatare che al centro di questa vicenda ci sia l’India: non solo «la più popolosa democrazia del mondo», ma anche potenza emergente e membro dei famosi BRICS. È tutt’altro che rassicurante osservare un simile comportamento da un Paese destinato a ricoprire in futuro un ruolo crescente nella governance mondiale.
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