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Tu sei qui: Home Democratici Nel Mondo ASIA / OCEANIA Giappone e Pacifico Il Giappone pensa davvero all'arma nucleare?

Il Giappone pensa davvero all'arma nucleare?

Il Giappone, unlco Paese al mondo vittima di due micidiali bombe atomiche nel 1945, può pensare oggi di dotarsi di armi nucleari mentre la sua Costituzione sembrerebbe escluderlo? Secondo stretti collaboratori del premier giapponese Shinzo Abe questo sarebbe possibile perchè, in realtà, ci può essere una interpretazione meno rigida della stessa Costituzione. Del resto nella sua campagna elettorale (aprile 2016) Donald Trump aveva suggerito a Giappone e Corea del Sud la possibiltà di diventare potenze nucleari per rispondere alle provocazioni criminali del regime della Corea del Nord e, così, far risparmiare ai contribuenti americani le spese militari per garantire "l'ombrello protettivo" a quell'area. In questo articolo, al di là della superficialità di Trump, si approfondisce la questione che è complessa sia per ragioni interne alla società e storia giapponese, sia per ragioni internazionali quali la vicinanza e la totale contrarietà della Cina.
Il Giappone pensa davvero all'arma nucleare?

il primo ministro Shinzo Abe

La Costituzione del Giappone non vieta al Paese di avere armi nucleari, contrariamente alla credenza diffusa. Questo hanno dichiarato esperti e alti funzionari che lavorano con il primo ministro Shinzo Abe.

La discussione in questione riguarda l'articolo 9 della Costituzione giapponese, che condanna la guerra e stabilisce il Paese come una nazione pacifista. La norma del 1947 vieta al Giappone, l'unico paese ad aver  sofferto attacchi con armi nucleari, di possedere un contingente militare tradizionale e a rinunciare anche ad armi volte ad offendere.

La norma è stata reinterpretata nel corso degli ultimi decenni, da ultimo dallo stesso Shinzo Abe nel corso del suo secondo mandato come primo ministro. In particolare, nel luglio 2014, Abe ha deciso che le forze di difesa del Giappone potessero  uscire dai propri confini per assistere militarmente Paesi stranieri in difficoltà, sia con la giustificazione di rispondere alle richieste dell'ONU di partecipare a missioni di interposizione sia per rafforzare la collaborazione  tra il Giappone e gli Stati Uniti.

Ma imboccare l'opzione nucleare per il Giappone è ben altra cosa che permettere alle proprie forze di sicurezza la partecipazione ad operazioni internazionali a difesa di popolazioni colpite da violenze e terrorismo.

Infatti più volte il Governo di Tokyo ha chiarito che il Giappone potrebbe possedere e utilizzare armi nucleari come mezzi di difesa estrema, dotandosi di una potenza nucleare minima come deterrente e dunque compatibile con le esigenza di difesa previste dallo stesso articolo 9 della Costituzione. Se questa strada non viene imboccata è per libera e responsabile scelta del Governo giapponese stesso che vuole continuare a onorare i milioni di morti del 1945 e rispettare il monito che viene da quella tragedia di non ricorrere mai più alla bomba atomica.

Nelle dichiarazioni ufficiali si legge:" il Governo mantiene saldamente il principio politico di non possedere armi nucleari di qualsiasi tipo sotto i tre principi non-nucleari".

Con queste premesse, sarebbe logico ritenere che diventare una potenza nucleare militare sarebbe l’ultima cosa che il Giappone possa avere in mente. Inoltre, settantuno anni dopo Hiroshima, l'opposizione popolare giapponese al nucleare cresce ulteriormente anche in seguito alla fusione dei tre reattori nucleari di Fukushima nel marzo 2011, portando l’opinione pubblica ad una forte opposizione anche al nucleare civile. Nonostante tali sentimenti resta sorprendente il fatto che la popolazione stessa scelga, elezione dopo elezione, leader noti per un interesse – più o meno accentuato – verso lo sviluppo di un deterrente nucleare autonomo pur sapendo che i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite mai permetterebbero al Giappone di violare il Trattato di non proliferazione nucleare e di divenire una potenza al riguardo. Per di più in contrasto con le scelte compiute alla fine della Seconda Guerra Mondiale quando il Giappone è stato posto sotto l’ombrello nucleare statunitense, in un contesto di Guerra Fredda, considerando sia la sua vicinanza geografica all’Unione Sovietica, alla Cina ed alla Corea del Nord, sia il suo divieto costituzionale nel dotarsi di un esercito proprio.

Un’altra contraddizione è rappresentata dalla palese violazione di uno dei tre importanti principi sul non nucleare adottati a suo tempo dal Giappone: divieto di possesso, divieto di fabbricazione e divieto di ammissione su suolo giapponese. Il principio di non ammissione, in particolare, è praticamente aggirato dal momento che non è un segreto che le forze statunitensi di stanza in Giappone detengano armi nucleari nel Paese. Tokyo si è sempre giustificata affermando semplicemente che, fintanto che le armi non vengono espressamente dichiarate dagli Stati Uniti, queste sono considerate come inesistenti sul suolo giapponese.

Il Giappone è stato fortemente tentato di creare un deterrente nucleare nazionale, specialmente dopo il 1964, quando la Cina ha effettuato con successo il suo primo test nucleare. In tale occasione, il Giappone avrebbe condotto una trattativa segreta con la Germania Ovest sulla possibilità di sviluppare una propria capacità nucleare nel 1969. Ma nel 1972 il Presidente statunitense Nixon, nella sua storica visita in Cina, assicura i cinesi che non si sarebbe mai permesso al Giappone di sviluppare l’arma nucleare. Da allora l’equilibrio nella regione si fonderebbe sulla alleanza USA-Giappone e, nello stesso tempo, sulla garanzia statunitense data alla Cina di non permettere al Giappone di tornare ad essere grande potenza militare.

Ma adesso il contesto geopolitico sta mutando. Con l'ossessiva ricerca della Corea del Nord di esibirsi come capacità balistica e nucleare crescono sempre più, in Giappone, le preoccupazioni in merito all’efficacia dell’ombrello statunitense.  Vi è chi sottolinea l’utilità di un deterrente nucleare giapponese. La questione non è ancora trattata ufficialmente dal Governo, ma è sotto traccia. Il Ministro della Difesa, la nazionalista Tomomi Inada, è fiera sostenitrice dell’armamento nucleare. Lo stesso Primo Ministro Shinzō Abe ha dichiarato, prima di essere nominato, che il possesso di un minimo necessario di arsenale nucleare è costituzionalmente possibile. Recentemente ha reso esplicita questa posizione rendendo ufficiale la propria intrepretazione della Costituzione in materia di armamento nucleare: «Anche se si tratta di armi nucleari, la Costituzione non vieta necessariamente il loro possesso se ridotto al minimo necessario all’auto difesa».

Le basi tecnologiche e scientifiche per questo salto il Giappone le ha. Ad esempio ha accumulato una riserva impressionante di quarantotto tonnellate di plutonio dal riciclo del combustibile esaurito delle sue centrali nucleari. Una tale quantità di plutonio sarebbe sufficiente per avviare la produzione di moltisssime testate nucleari.

Nonostante le preoccupazioni della Cina e dell'ONU, l’ipotesi dell’armamento nucleare del Giappone non è una strada realizzabile, almeno nel breve periodo. Il Giappone dovrebbe innanzitutto abbandonare il Trattato di non proliferazione, contraddire la sua scelta pacifista e, addirittura, trasformarsi in attore di instabilità e ulteriore conflittualità per tutta quell'area. Ne conseguirebbe un effetto domino nel già fragile panorama politico asiatico,  incentivando la corsa al nucleare di Cina e Corea del Nord, seguite a ruota da altri Paesi che ne imiterebbero la logica di potenza.

Il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ha, forse, ancora capito il rischio che un'escalation farebbe correre a quell'area tra le più complicate del pianeta. In questo primo mese da presidente, su questo tema, non ha per fortuna espresso le opinioni irresponsabili rilasciate in campagna elettorale.

Un Giappone che pensa di dotarsi dell' arma nucleare sarebbe destabilizzante e devastante, innescherebbe reazioni difficili da controllare. Piuttosto, si convinca la Cina a frenare la follia militarista della Corea del Nord e a concordare con il regime nordcoreano una transizione politica ed economica accettabile.    

 

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