Dopo lo storico accordo con le Farc. Nuova violenza in Colombia
Sono oltre seimila i guerriglieri delle Farc, la guerriglia d’ispirazione marxista-leninista, che da giorni e con ogni mezzo – in autobus, camion, barche e a piedi – si stanno dirigendo verso le 27 aree di sicurezza (veredales in spagnolo) supervisionate dall’Onu e dalla forza pubblica colombiana. Qui, man mano che arrivano, consegnano le loro armi ed iniziano il lungo reinserimento nella vita civile, a cominciare dalle foto per i documenti visto che l’80% di loro non ha mai posseduto in vita sua una carta d’identità essendo entrato giovanissimo nelle Farc, acronimo che sta per le Forze armate rivoluzionarie della Colombia.
Molte le donne, immortalate nelle tende azzurre dei veredales per la prima volta senza AK-47 ma mentre leggono libri, scrivono lettere o si danno da fare per rendere abitabili le zone provvisorie destinate loro, accampamenti spesso non all’altezza delle promesse fatte dal governo colombiano. Una lunga marcia, una vera e propria processione del cambiamento che lascia dietro di sé qualcosa come 220 mila morti e quasi 7 milioni di desplazados, come chiamano qui gli sfollati, tutte persone comuni costrette a fuggire da casa loro a causa di una guerra che per oltre 50 anni ha insanguinato la Colombia.
IL DIFFICILE MA INDISPENSABILE REINSERIMENTO SOCIALE DEI GUERRIGLIERI
Al momento di guerriglieri nei veredales ne sono già arrivati 5.784, ne mancano ancora circa 800 e, nei prossimi giorni, questo trasferimento di massa seguito con attenzione tanto dai media internazionali, quanto dagli osservatori ONU e dall’esercito colombiano, dovrebbe completarsi. I minori guerriglieri, che sono decine, saranno presi momentaneamente in affidamento dal personale dell’Unicef. Poi, per tutti loro, sarà la volta di imparare un lavoro, di fare politica solo con la parola e mai più con le armi – le Farc avranno un partito politico che li rappresenterà alle prossime elezioni, come previsto dall'accordo di pace – insomma di ricostruirsi una vita normale. “Sarà la fase più difficile” spiegano in molti, abituati da decenni a vivere nella selva ed a sparare contro ogni possibile nemico, soldato regolare o paramilitare che fosse.
Ed a seguire questo processo di pace è soprattutto la popolazione che vive vicino agli accampamenti provvisori dove le Farc si stanno raggruppando. Tanta la preoccupazione soprattutto fra le donne, le prime vittime di questi 50 anni di guerra civile colombiana. Stuprate, torturate, rese vedove, sono loro che portano sulla pelle le cicatrici più drammatiche di un conflitto che sembra non volere mai finire. “In verità qui non ci ha consultato nessuno – spiega una contadina intervistata da una televisione locale – ci hanno mandato dei fogli, c’è stato un passaparola ma di fatto nessuno è venuto a parlare con noi donne o con i contadini.
117 ATTIVISTI DEI DIRITTI UMANI UCCISI NELL'ULTIMO ANNO. LA MANO DEI PARAMILITARI.
Nell'ultimo anno in Colombia gli omicidi mirati sono addirittura aumentati rispetto al 2015. La maggior parte delle vittime sono attivisti di primo piano nella difesa dei diritti umani. Chi ha ucciso queste persone? Secondo l’analisi delle ricercatrici Gimena Sánchez-Garzoli e Sonia Londoño per il Wola, “se da un lato l’accordo con le Farc ha ridotto la violenza a livello statale, la smobilitazione dei guerriglieri ha creato dei vuoti in Colombia, che sono alternativamente occupati da gruppi paramilitari che marcano il territorio con omicidi mirati e minacce di morte”. Anche “Somos Defensores” punta alle stesse conclusioni nel suo report riguardante il trimestre che va da luglio a settembre, individuando i presunti responsabili delle 63 morti registrate. A fronte di un 68% di casi su cui non si è fatta luce, il 24% indirizzerebbe ai gruppi paramiltari.