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LA POLITICA ESTERA AMERICANA IN CAMPAGNA ELETTORALE

La politica estera è rimasta ai margini della campagna elettorale americana, ma sia Obama sia Romney dovranno ben presto confrontarsi con il resto del mondo. Il terzo dibattito televisivo tra Barack Obama e Mitt Romney verteva sulla politica estera, ma lo svolgimento della contesa è scivolato su tanti altri temi, e alla fine si è avuta la sensazione che nessuno dei due volesse davvero sviscerare l’argomento.
LA POLITICA ESTERA AMERICANA IN CAMPAGNA ELETTORALE

Il Presidente USA, Barack Obama

Politica estera significa per gli USA accettare di essere una potenza in declino perché la loro influenza su quanto succede nel mondo è sempre minore. Le ragioni sono molteplici, e soprattutto legate alle risorse perché in un contesto di necessità sempre maggiori, gli Stati Uniti devono pensare al fabbisogno nazionale più che esportare materie prime mentre il loro intervento soprattutto militare non può più essere sopportato dal Paese senza ripercussioni economiche interne.

E’ successo in passato, nel 1802, quando, ad esempio, gli Stati Uniti acquistarono la Louisiana (Louisiana Purchase, si intende) direttamente dai finanzieri Baring e Hope, per conto di Napoleone, che aveva bisogno di fondi per finanziare i suoi sforzi bellici contro l’Inghilterra.

Tra i due candidati Obama sembra essere il più realista con una grande propensione per la diplomazia piuttosto che all’intervento armato, ma non si capisce perché non abbia partecipato al ventennale dell’abbattimento del muro di Berlino, che avrebbe significato la sua leale adesione ai temi europei. L’Europa sembra sempre più lontana, a parte i vecchi legami, e si assiste a un lento e inesorabile declino del ruolo della Nato. Le guerre americane in Irak e Afghanistan sono sempre meno accettate dai partner dell’alleanza al punto che prima della scadenza le truppe francesi e canadesi se ne sono già andate.

Si pensava che Obama potesse essere più influente sia in Medio Oriente sia in Africa. In Medio Oriente ha trovato il blocco granitico di Israele sostenuto dalle diverse lobby in USA e non solo pro-Israele e ha perso così influenza e credibilità nei Paesi arabi, vedi l’impossibilità attuale di un intervento in Siria, che potrà essere bilanciata solamente dalla forza dei Paesi tipo Arabia Saudita che metterebbero in questo caso in difficoltà Israele, attualmente alle prese soprattutto con il problema del nucleare iraniano.

Uno scacchiere molto complicato dove gli americani non hanno più la capacità di agire sempre in prima persona, vedi Libia, e che ben presto porrà l’Europa unita solo monetariamente di fronte a grandi decisioni.

Lungi da esser una potenza non potenza gli Stati Uniti cercheranno di essere presenti nelle aree che contano e di fronteggiare soprattutto l’avanzata cinese che oltre al potere commerciale sta facendo passi da gigante anche in quello militare.

Che cosa c’è da aspettarsi dagli Usa in un prossimo futuro? Un ridimensionamento soprattutto a livello militare e interventista con una maggiore attenzione ai problemi della vita quotidiana come l’ambiente. L’uragano Sandy che ha devastato le coste orientali degli Stati Uniti è stato considerato frutto del riscaldamento del pianeta, uno stato di cose cui hanno contribuito in misura massiccia anche gli Stati Uniti.

Barack Obama sembra essere la persona più responsabile e più disposta a trattare per evitare disastri in tutti i settori, consapevole che la potenza americana non potrà più essere la guardiana del mondo.

E dopo? Chi si preoccuperà di spegnere i focolai di intolleranza e prevaricazione attorno al mondo? Ci sarà una multipolarità con piccole potenze che risolveranno i guai locali? Una bella domanda che per ora non ha risposte.

Tuttavia, se gli Usa non riescono a risolvere il problema di Cuba, ancora sotto embargo dopo decine d’anni, che bisogna pensare? Gli stessi Usa che dopo aver combattuto una sanguinosa guerra contro i vietnamiti,credendoli filo cinesi, si sono accorti adesso del contrario, e sono riusciti a ristabilire normali rapporti commerciali e diplomatici.

Buon lavoro, signor Presidente, chiunque tu sia.

Ernesto R Milani

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